Marta Serafini tiene alta l’attenzione su ciò che accade nei paesi di guerra e sulle sue conseguenze
Marta Serafini è una giornalista e reporter per il Corriere Della Sera in vari paesi come l’Ucraina, la Siria, l’Afghanistan e l’Iraq, nella sua lezione sul reportage di guerra in collaborazione con il Salone Internazionale Del Libro sottolinea da subito l’importanza di sensibilizzare le persone perché la finalità del suo lavoro è “avvicinare la realtà disastrosa di alcuni paesi alla nostra” perché troppo spesso pensiamo “tanto questa guerra non ci tocca”. Questo è infatti spesso l’errore che commettiamo quando osserviamo conflitti e situazioni politico-economiche di altri paesi pensando che siano eventi quasi appartenenti a un altro universo “perché l’indifferenza è la peggior nemica dell’umanità”. Spesso ci soffermiamo e ci facciamo influenzare dalle immagini che possono essere una chiara fonte di informazione, ma non è abbastanza per avere una completa conoscenza dei fatti. Possiamo risalire alla verità spesso solo a grandi linee, tuttavia quella autentica è molto più complessa. Per avere un approccio con la realtà bisogna passare attraverso uno studio di causa ed effetto, che quasi mai riesce a definire chi sia la vittima e chi il colpevole, perché in guerra non c’è il bianco e il nero, il buono o il cattivo, a volte si può solo definire chi sia stato più atroce, ma “in guerra la prima a rimetterci è la verità”.
Andare al fronte e assistere di persona a un conflitto armato ha permesso di far capire a Marta Serafini l’importanza di venire a conoscenza e diffondere la verità anche sulle sofferenze che incombono inevitabilmente sui cittadini del posto, costretti a subire atroci conseguenze che il conflitto provoca. La guerra segna i destini dei cittadini che la subiscono perché si ritrovano incapaci di studiare per ottenere un lavoro in seguito o semplicemente di comunicare con le persone di altri paesi verso cui eventualmente fuggiranno. Le conseguenze dei conflitti continuano per anni e interrompono momenti della vita delle persone di tutte le età, togliendo possibilità, come il diritto allo studio o alla salute, obbligando i cittadini del posto a fuggire dal proprio paese a causa della guerra, avendo in seguito difficoltà ad inserirsi in nuove realtà per la diversità della lingua, della cultura o per il sistema di istruzione differente.
“E i social? Che ruolo svolgono nell’ambito delle informazioni e della comunicazione?”
I social possono essere assai utili, poiché hanno la capacità di diffondere e amplificare una informazione molto rapidamente. Tuttavia ciò può avere sia risultati positivi che negativi, infatti una semplice immagine pubblicata per ricevere qualche “click” può avere un impatto notevole e trasferirci una idealizzazione spesso sbagliata. Per evitare questo errore bisogna avere consapevolezza di ciò che accade al di fuori del nostro paese e documentarsi consultando siti autorevoli e affidabili. Non basta un semplice video su Tiktok o su Instagram per farsi un’idea di un conflitto perché mai si potrà avere una piena consapevolezza: bisogna non dimenticare che la complessità delle guerre non ha bisogna di tifoserie da stadio che urlano la loro appartenenza, ma di cittadini che vogliono comprendere e che sempre mettano al centro il valore della pace.