Oggi Stefania Andreoli, psicologa clinica, psicoterapeuta e scrittrice, ha analizzato in modo approfondito sia il suo lavoro sia il suo ultimo romanzo lo, te, l’amore.
Nell’ambito lavorativo, Stefania Andreoli si ritiene molto presente nell’accompagnare il paziente alla cura, forse troppo. Definisce il luogo in cui opera “stanza delle parole”: qui pone tutta la sua esperienza e i suoi studi per aiutare le persone, traendone spunti per i suoi scritti.
Dalla sua esperienza lavorativa, la scrittrice si è resa conto di come, molto spesso, le persone si rivolgano a lei in seguito a problemi d’amore o emotivi. La relazione in sé è l’unico argomento che ci accomuna, è l’esperienza più democratica, l’unica in cui mettiamo tutti noi stessi con l’obiettivo di raggiungere un rapporto sano. Attraverso le domande argute di Michela Marzano, la psicoanalista ha esposto come oggi l’essere umano si stia allontanando dalla sua necessità di relazionarsi, avvicinandosi al pericolo di parcellizzazione e di divisione della società. La scrittrice riconduce la causa di questo problema alla prima relazione di tutti noi, per la quale ci sarà sempre un legame: quella genitoriale. Il paradigma del rapporto genitore-figlio è completamente diverso rispetto a 50 anni fa, quando l’unica regola imposta era che il figlio tornasse a casa sano e salvo. Oggi ci sono 3 possibili vie: il figlio nasce ed è usato come un farmaco per curare il rapporto nella coppia; nasce e viene umiliato dal genitore giudicante e narcisista; nasce e viene riconosciuto e amato. Nel terzo tipo di rapporto, c’è la possibilità che al figlio venga data una quantità di “amore eccessiva”, difficile da eguagliare nel momento in cui desidererà trovare il partner nella vita.
Secondo l’autrice, dunque, i genitori compiono il “peccato originale”, non insegnando ai loro figli la preservazione della fiducia dell’essere amati.