In sala rossa al Salone del Libro di Torino, nel tardo pomeriggio di domenica 17 ottobre, di fronte ad un pubblico nutrito ed attento, Loredana Lipperini dialoga con Vera Gheno e Federico Faloppa, autori de Trovare le parole. Abbecedario per una comunicazione consapevole (Edizioni Gruppo Abele) e Nadeesha Uyangoda, autrice de L’unica persona nera nella stanza (66thand2nd) e curatrice del podcast Sulla Razza, che si occupa di tradurre parole ed espressioni proprie del razzismo dal contesto anglo-americano a quello italiano.
L’oggetto della conversazione è il linguaggio inclusivo, il peso delle parole e le implicazioni delle scelte linguistiche da parte sia di soggetti singoli, più o meno esposti mediaticamente, che della collettività. L’incontro è stato inserito nel programma del Salone proprio per approfondire queste tematiche, che sono ormai sempre più centrali nel dibattito pubblico e molto spesso oggetto di accanimento giornalistico. Non si potrebbe pensare ad un contesto migliore in cui contrastare l’immagine del linguaggio inclusivo solitamente offerta dai media: una privazione di libertà d’espressione, un sistema di obblighi e limitazioni.
Durante l’incontro, sono stati portati all’attenzione del pubblico numerosi esempi di parole che occorrerebbe utilizzare con maggiore consapevolezza, o non utilizzare affatto. Parole che esistono (ancora) nel nostro linguaggio per imposizione di coloro che occupano i vertici della società e che sono normalmente (e guarda un po’) uomini, bianchi, cisgender, anzianotti, che rispecchiano a pieno l’ideale di “normalità” che la società ha costruito.
Il messaggio degli ospiti è di speranza: la nostra società normocentrica sta lentamente mettendo in discussione il suo paradigma, che per troppo tempo si è basato su un equilibrio dato per scontato, che non accoglie la diversità e anzi tende, anche non intenzionalmente, a denigrarla. Naturalmente, e l’osservazione è nevralgica, per certe battaglie non ci si può fermare al piano simbolico: occorrono azioni concrete, norme che indirizzino la realtà verso un’inclusione di fatto. C’è innanzitutto bisogno di dare spazio alla diversità e di mettersi in ascolto, facendo tutti umilmente un passo indietro, e di inserire quei corpi ancora considerati “diversi” nei processi decisionali. Il linguaggio può essere un anticipatore del cambiamento: bisogna imparare ad utilizzare le parole giuste per riferirsi ai fatti, legittimando, chiamandoli con il loro nome, fenomeni sociali emergenti e combattendo così in primis un’ingiustizia discorsiva.
Sara Tavella, redazione BookBlog