Domenica 17 ottobre 2021, nella suggestiva ambientazione di Sesto al Reghena, è l’emozionante esibizione del coro goriziano al femminile Bodeča Neza, con direttrice Mateja Jarc, a introdurre il racconto di Paolo Rumiz sul suo romanzo “Il filo infinito”. Temi ispiratori sono il suono e il silenzio. Nel 2005 l’autore ha effettuato un viaggio verso Gerusalemme assieme ad una fotografa polacca. “Più leggevo, più mi rendevo conto di essere ignorante in materia. Mi sentivo come una persona che cammina lungo un corridoio, nel quale ci sono delle porte e ogni porta che aprivo portava ad un’altra porta” osserva l’autore notando che più si va verso est e più il messaggio del cristianesimo è forte nonostante sia una religione minoritaria. Dopo questa esperienza ha fatto uscire il libro “Gerusalemme perduta” ma il giorno prima della sua presentazione a Bergamo nel novembre 2005 si accorge di aver sbagliato l’approccio con quel viaggio. “Mi sono reso conto che il filo conduttore del viaggio era un filo sonoro e di colpo si sono accese le voci di tutti i luoghi che ho passato.”
Ne “Il filo infinito” Rumiz ha cercato di prendere ispirazione da questa precedente esperienza e infatti ogni monastero si identifica con un suono; un esempio è il monastero di Cîteaux dove Rumiz, incuriosito dal suono, si alza e vaga per la struttura finché vede un monaco che suona il pianoforte. È il silenzio il riassunto di tutti i suoni. Ma solo durante la visita alle città distrutte dal terremoto, dopo aver visto la statua di San Benedetto a Norcia decise di scrivere “Il filo infinito”:infatti se è rimasta intatta alle catastrofi provocate da uomo e natura significa che esiste ancora il messaggio di speranza diffuso da San Benedetto. E ne comprese la verità quando visse con i ragazzi della European Union Youth Orchestra. “La musica amalgama, fa dimenticare i pregiudizi verso gli altri popoli”