Domenica 17 settembre, ultima giornata del festival Pordenonelegge, al Capitol è stata ospite la scrittrice Viola Ardone. Durante l’incontro, l’autrice, intervistata Alberto Garlini, ha presentato il suo ultimo romanzo Grande meraviglia, in uscita il 19 settembre per Einaudi Editore. La vicenda ambientata negli anni 80’ del Novecento tratta di una ragazzina, Elba, che vive in un luogo ai limiti del grottesco e dell’umano, un “mezzomondo”: il manicomio. Nonostante la legge Basaglia, che imponeva la chiusura dei manicomi, fosse stata emanata nel 1978, questa realtà di segregazione e abuso continuava a persistere, condannando alla
disumanizzazione centinaia di persone innocenti e inermi. Spesso infatti, come rivela Elba, i “matti” erano persone semplicemente colpevoli di essere state scomode per il contesto in cui erano inserite; non è casuale che per la maggior parte fossero donne antesignane per quel tempo o persone appartenenti alle fasce di popolazione più povera. A questo punto viene introdotto il rivoluzionario psichiatra Fausto Meraviglia, definito da Elba un “Pigmalione”, poiché sostiene tutti coloro che agli occhi dei più sono una causa persa. Meraviglia, idealista, ma non propriamente dal passato immacolato, cercherà infatti di fornirle gli strumenti necessari per una vita nel “mondo dei normali”. Da questo improbabile incontro nascerà un profondo sentimento di affetto quasi familiare, che mostrerà come anche dopo una vita di errori, o nel caso di Elba di mancanze, sia sempre possibile stringere un legame travolgente, capace di svoltare la propria esistenza. Nelle pagine di Ardone spicca la forte esigenza di dar voce a una realtà di marginalizzazione, dove tutto ciò che è ritenuto deviante sembra essere diviso da una nettissima linea retta che determina chi è degno di vivere un’esistenza propriamente detta e chi no. È significativa quindi l’ambientazione temporale
di questo e dei romanzi precedenti dell’autrice, il Novecento, secolo attraversato dagli autoritarismi. E sono proprio i manicomi il risultato di questi autoritarismi, che non permettono alla differenza di emergere, ma la soffocano con crudeltà, allontanandola da ciò che è ritenuto la norma.
In conclusione questo romanzo porta a chiederci se sia ancora necessario espellere tutti coloro che non si conformano a un ideale di normalità riuscendo a rompere il velo di omologazione ancora oggi spesso promosso come unica via.
Perché in fondo “la normalità” non è solamente “pazzia socialmente accettata”?