A un anno di distanza dalla pubblicazione di “Nessuna causa è persa”, Cathy La Torre, avvocata e attivista contro le discriminazioni basate soprattutto sul genere, presenta il suo libro all’Arena Bookstock con lo scopo di “riparare alle ingiustizie raccontando storie”. Il libro è un appello a non lasciare indietro chi è diverso, è lo strumento di lotta di chi non può combattere perchè schiacciato da stereotipi di cui a volte nemmeno si rende conto. Cathy è nata nella Sicilia degli anni Ottanta da padre siciliano e madre statunitense, racconta che i suoi genitori si aspettavano un maschio e per questo il padre l’ha cresciuta “a prova di sfide”: tutti imparavano ad andare in bicicletta a sei anni, lei a quattro; gli altri imparavano a nuotare verso i cinque anni, a lei venivano tolti i braccioli a due anni e mezzo. La sua vita ha avuto la prima vera svolta quando sua madre le disse che non si sarebbe mai laureata, perchè di laureati nella sua famiglia non ce n’erano. A quella promessa che ha fatto a se stessa, di conseguire la laurea, Cathy ci si è aggrappata con tutte le sue forze quando le difficoltà hanno iniziato a emergere fin dall’adolescenza che è il periodo in cui si inizia a fare esperienza della propria sessualità.
“Odio”, “amore”, “cura”, “pregiudizio” sono i titoli che l’autrice ha scelto per alcuni capitoli del libro. L’astrattezza delle parole diventa concretezza nella lettura delle sofferenze patite da chi viene quotidianamente insultato o da chi combatte per convincere chi gli sta intorno dell’inadeguatezza di un corpo che non percepisce come il proprio. Cathy confida il disagio di alcuni detenuti transgender che ha incontrato al carcere di San Vittore a Milano, è una questione molto delicata sconosciuta ai più e che viene spesso liquidata in breve. “Dove li mettiamo?” si sente dire da chi è addetto alla gestione come si trattasse di oggetti a cui si deve trovare una sistemazione qualunque. I detenuti maschi omosessuali, per fare un altro esempio, sono confinati nelle “sezioni speciali” delle carceri maschili, quelle destinate agli stupratori, agli agenti di polizia e ai collaboratori di giustizia chiamati “infami” dagli altri carcerati. Tutta l’attività di La Torre mira è volta all’ascolto e alla tutela di queste persone dimenticate e trattate come numeri, come “problemi da risolvere”.
Dopo anni di gavetta passati a svolgere la professione durante il giorno e a lavorare di sera come lavapiatti per sopravvivere economicamente, oggi La Torre è avvocata affermata e punto di riferimento per chi è vittima di discriminazioni, è l’incarnazione di una visione ben precisa dell’avvocatura vista non come l’arte di manipolare il diritto per volgerlo secondo i propri interessi, ma come la capacità di ascoltare gli ultimi rapportandosi con loro in maniera empatica. L’autrice riconosce la mancanza di un’alfabetizzazione capillare dei diritti individuali come forma di “automedicazione” alle ferite subite: così come su un taglio della mano applichiamo un cerotto evitando di ricorrere al pronto soccorso, allo stesso modo essere a conoscenza di quali sono i diritti che la legge tutela per ogni individuo e la minaccia di farli valere costituirebbe un deterrente già efficace nei confronti di chi viola sistematicamente questi diritti ledendo la dignità della persona.