Cronache, Dedica Pordenone 2025

“Eyewitness Iran” – Fotografia e letteratura durante l’esilio: Manoocher Deghati e Kader Abdolah


Anna Di Pinto e Livia Padoani

Liceo scientifico M. Grigoletti - Pordenone

Domenica 16 marzo alle ore 10.30 presso la Biblioteca Civica di Pordenone ha luogo la presentazione, a cura di Claudio Cattaruzza, della mostra fotografica “Eyewitness: Iran”, di Manoocher Deghati, celebre fotoreporter che ha collaborato con le principali testate giornalistiche internazionali e vincitore, per due volte, del World Press Photo. All’incontro partecipa come ospite anche lo scrittore Kader Abdolah.

 

In questa circostanza avviene, inoltre, l’incontro, altrettanto importante, tra due uomini che condividono un passato comune, che lo stesso autore racconta: nell’Iran degli anni ‘80, il giovane Abdolah, giornalista, è iscritto ad un partito clandestino, che ha bisogno di qualcuno in grado di scattare delle fotografie per la loro lotta politica contro il regime; viene, quindi, indirizzato verso un fotografo all’epoca già noto, Manoocher Deghati. Il tempo passa, “la storia fa quel che vuole la storia, decide lei”, entrambi fuggono dal loro Paese e dopo 46 anni di esilio si ritrovano, proprio in occasione di questo festival. E, con questo pretesto, scoprono che sono molti i fili conduttori che li legano.

 

Primo tra tutti, la fuga da un Paese autocratico, e l’esilio che ne deriva, con tutte le sue difficoltà: imparare una nuova lingua, farla propria e integrarsi in un diverso contesto culturale e sociale. Poi la scelta di entrambi di testimoniare, “dare voce a chi voce non ha”, tramite un mezzo comune, la “scrittura”: Abdolah con la penna, Deghati grazie alla macchina fotografica, che gli consente di “scrivere con la luce”.

 

«Pensate che la fotografia possa effettivamente contribuire a cambiare le cose? A scuotere le coscienze per mezzo delle testimonianze? E la letteratura?»

 

Manoocher Deghati – La fotografia è un linguaggio universale. Ha più effetto della letteratura, perché non è necessario conoscere una lingua per capirla. Siamo all’inizio di una rivoluzione dell’immagine: la fotografia è il linguaggio presente e futuro del mondo, perché tutti facciamo foto e condividiamo informazioni.

 

Kader Abdolah – Quando scrivo non penso al mondo, in quel momento non è un mio problema. E dopo trent’anni che faccio questo capisco che quello che ho fatto fino ad ora è stato il tentativo di tornare a casa e portare con me anche i lettori, affinché assistano alla storia dell’Iran e alla vita della mia famiglia. E dirò di più: anche Manoocher, che ha cambiato molte volte Paese, sta cercando una casa, pur sapendo che la sua non esiste più. Forse non abbiamo cambiato il mondo, ma abbiamo vissuto il grande cambiamento: siamo diventati noi stessi, e questo è il dono più bello della vita e dell’esilio.

 

In aggiunta a questo intervento Kader Abdolah lancia un messaggio ai giovani: «Se state a casa potrete conoscere solo la metà di voi stessi, ma se lasciate la vostra vita, la vostra lingua, la vostra casa, la vostra città e incontrate altre persone, solo allora potrete conoscere e costruire voi stessi».

 

Dopo alcune domande sul rapporto tra vita e fotografia rivolte a Manoocher Deghati e la lettura del commento del critico Angelo Bertani, non presente all’inaugurazione, si accede alla mostra. L’esposizione raccoglie immagini forti che, come ha detto lo stesso Deghati: «Non sono state solo un lavoro, ma il mio modo di testimoniare e condividere le crude verità di una nazione in subbuglio».

 

Anna Di Pinto e Livia Padoani, Liceo scientifico M.Grigoletti, Pordenone

 

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