A conclusione della XV edizione della Festa del Libro Ebraico, si affronta il tema dell’identità ebraica da un punto di vista inedito: attraverso lo sguardo di Sigmund Freud. Domenica 29 settembre alle ore 18:00, infatti, presso la sede del MEIS (Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah) di Ferrara, l’italianista e storica della psicoanalisi Marina D’Angelo, presentando la sua ultima pubblicazione I viaggi di Freud in Italia (Bollati Boringhieri, 2024), ha dialogato con lo psicoanalista Alberto Sonnino circa il legame di Freud con la propria identità ebraica.
“Quale senso hanno i viaggi di Freud in Italia?” questa è stata la domanda che ha aperto il confronto. D’Angelo risponde definendo i brevi soggiorni nella Penisola come “linfa vitale” e fonte d’ispirazione, per Freud-“cittadino di cultura” prima ancora che per Freud-medico; lo dimostra il fatto che il termine “psicoanalisi” compaia per la prima volta nella sua teoria nel febbraio del 1896, pochi mesi dopo il ritorno dal primo viaggio a Venezia.
Per ripercorrere gli itinerari di Freud, D’Angelo si serve tanto del corpus dell’opera scientifica freudiana quanto del nutrito epistolario del medico con i propri cari, attingendo principalmente dal “box dei taccuini”, oggi conservati a Washington DC. Da queste fonti emerge chiaramente la capacità, quasi innata, di Freud di trasformare ogni cosa da lui vista, vissuta e sognata in un elemento della propria teoria psicanalitica: significativo è l’esempio della Chiesa di San Clemente a Roma che, con i suoi tre livelli architettonici capaci di coesistere in armonia, esemplificano la tripartizione in conscio, pre-conscio e in-conscio tipica della psiche umana. Sempre a Roma avviene l’incontro con il Mosè di Michelangelo a cui, oltre a sedici pagine del suo taccuino, dedica anche il testo L’uomo Mosé e la religione monoteistica (Allert De Lange, 1939), opera che viene successivamente commentata da Yosef Hayim Yerushalmi nel saggio Il Mosè di Freud (Giuntina, 2024), di cui, durante l’evento, si è occupato Sonnino.
Tra il 1934 e il 1938, quando l’ira nazista imperava in Europa, ispirato da un Mosè michelangiolesco immortalato nel tentativo di trattenere la rabbia provocatagli dal tradimento del popolo ebraico, Freud indaga il suo stesso rapporto con l’ebraismo. In questa relazione sembrano scontrarsi l’appartenenza alla comunità ebraica e il suo profondo laicismo; tale ambivalenza si risolve, però, nell’idea che il carattere ebraico, che fonda l’identità ebraica, venga trasmesso esclusivamente sul piano dell’inconscio, senza sfiorare quello razionale né quello formale.