Cantica
Canto
Perché è importante leggere questo canto ancora oggi?
Il canto XVI del Purgatorio rappresenta un vero e proprio stacco narrativo rispetto al filo del racconto intessuto fino a quel momento. Il viaggio di Dante, infatti, viene per un attimo messo in secondo piano, lasciando spazio ad alcuni dubbi esistenziali; ma partiamo dall’inizio.
Siamo nella III cornice, quella degli iracondi. Tutto il cammino è ostacolato da una coltre di fumo che non permette a Dante di vedere la strada da seguire. Facendosi guidare da Virgilio, ad un certo punto ode la voce di un penitente che dice di chiamarsi Marco Lombardo. Dopo aver rivelato le rispettive identità e storie, Dante vuole sciogliere un proprio dubbio ponendo all’anima una domanda. La questione si fonda sulla decadenza dei costumi e delle virtù umane con il passare dei secoli: la causa di questi mali è Dio o sono gli uomini?
Proprio con questo espediente l’autore presenta e dà il proprio punto di vista riguardo il libero arbitrio. Utilizzando dunque il personaggio di Marco Lombardo, Dante-scrittore ci dice come il libero arbitrio sia effettivamente appannaggio degli uomini. La credenza di un “necessitarismo” imposto dalle forze celesti, secondo lui, si ridurrebbe alle prime azioni degli individui. Con il tempo, invece, l’intelletto umano avrebbe la supremazia e concederebbe all’uomo la completa libertà di scelta tra bene e male.
Al di là del suo personale punto di vista, credo che la parte più importante di questo passo sia stata quella di riconoscere effettivamente un “problema del libero arbitrio”. Noi, infatti, tendiamo a dare molto per scontato questo tipo di concetto e nella maggior parte dei casi archiviarlo come un dato di fatto. Questa tematica, invece, è uno delle fonti più prolifiche di dibattiti in ambito filosofico e religioso.
Per quanto riguarda il primo, ossia l’ambito prettamente filosofico, tale tema si lega principalmente al concetto stesso di natura, sia umana che non. Molti filosofi, ad esempio, associano l’idea di un determinismo naturalistico ad una sorta di “determinismo umano”, meccanico e fisso, che non lascia spazio ad alcuna libertà: basti pensare allo stoicismo, dominato dalla credenza che l’unica libertà per l’uomo fosse quella di adeguarsi coscientemente o incoscientemente al processo naturale senza dare scampo alla casualità. Secondo altri, invece, è proprio l’intelletto umano ad innalzare l’uomo al di sopra degli animali e, pur riconoscendo un determinismo naturale, per loro ciò non pregiudicherebbe questo libero arbitrio.
Ma, come detto, in ambito religioso questo concetto è stato fonte di innumerevoli dibattiti, e pare proprio che lo stesso Dante facesse riferimento a questo campo. Le sue idee, infatti, sembrano trovare le proprie radici nel pensiero di San Tommaso d’Aquino. Secondo quest’ultimo, infatti, l’inesistenza di un libero arbitrio sarebbe assurdo di per sé, soprattutto nel caso venga considerata all’interno della fede cristiana. In quanto fonte di giustizia, infatti, Dio si troverebbe a giudicare gli uomini in base ad una predestinazione, ma ciò è impensabile.
Anche altri esponenti importanti del cristianesimo hanno affrontato tale tema: da Sant’Agostino, che ha unito il concetto di grazia divina con quello di libero arbitrio, giungendo alla conclusione di un dono divino che permette agli uomini di poter non peccare (e lasciando quindi uno spazio alla volontà dell’individuo), sino ad arrivare nel XVI secolo con la Riforma Protestante di Martin Lutero: uno dei punti di maggior distacco con la Bibbia, infatti, fu quello di riconoscere una predestinazione divina, negando i dogmi fondamentali del Cattolicesimo. Agli inizi del 1600, dunque, gli europei vennero messi davanti ad un bivio: seguire le orme della tradizione e credere nella Bibbia o distaccarsi e seguire il pensiero di Lutero? Proprio in questo consiste l’importanza, a parer mio, del dibattito legato alla tematica del libero arbitrio.
Ritornando alla narrazione del canto, Marco Lombardo, dopo aver sciolto il primo dubbio allo scrittore fiorentino, prosegue il suo discorso prendendo in considerazione la causa politica della corruzione umana: proprio in questo momento viene esposta la famosissima teoria dei due Soli.
Secondo Dante-scrittore, il potere spartito tra l’autorità dell’imperatore e quello del Papa deve rimanere indipendente e svincolato l’uno dall’altro, in modo da evitare un degradamento del vivere civile. Come appare dall’esempio proposto dall’artista, infatti, l’ingerenza della figura ecclesiastica negli affari civili e, in particolare, l’interesse rivolto ai beni materiali, comporterebbe la perdita da parte della popolazione di un faro, di una guida spirituale. Come due Soli che brillano di luce propria, così le due figure dovrebbero governare in maniera separata e con fini del tutto diversi tra loro: se l’autorità civile ha il compito di mantenere la giustizia e far rispettare le leggi, tendendo alla felicità terrena, il Papa funge da guida per la felicità eterna. Ebbene, proprio la cattiva gestione dei Papi (e, in particolare, di Bonifacio VIII) avrebbe non solo compromesso la sfera religiosa, ma anche quella civile. Per quanto riguarda anche questo concetto, possiamo riscontrare importanti basi e precedenti nella filosofia. La teoria dei due Soli, in effetti, non sarebbe stata elaborata dallo stesso Dante, ma appunto derivata dalla tradizione scolastico-medievale. In particolare, affonderebbe le sue radici nello stesso Sant’Agostino e nel dualismo della Città Terrena e Città Celeste che richiama questa netta distinzione tra religione e mondanità.
Al di là del contenuto moraleggiante in sé lasciatoci in eredità da Dante, ciò che mi sorprende di più dopo aver letto questo canto è stata proprio l’universalità dei discorsi intrapresi: con pochi versi, infatti, lo scrittore è riuscito a racchiudere in sé un percorso filosofico della durata di millenni e che ancora oggi è valido; forse questa voleva essere un’ulteriore dimostrazione delle sue grandi capacità argomentative, ma una cosa è certa: con questi versi ha voluto cucirsi lui stesso uno spazio a fianco dei due Soli, in modo da suggellare per l’eternità il potere enorme degli artisti illuminati dal sapere divino e, con esso, l’importanza del saper pensare.
Una terzina, o dei versi di Dante da conservare
“Lo mondo è ben così tutto diserto
d’ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;
ma priego che m’addite la cagione,
sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone.”