Il giornalista canadese-americano vincitore del premio Pulitzer Matthieu Akins ha portato, durante la presentazione del suo libro Chi è nudo non teme l’acqua (Iperborea, 2023) tenutasi presso il Teatro Comunale il primo ottobre, un punto di vista singolare della parola frontiera. Il libro presentato infatti tratta del concetto di confine non dal punto di vista di coloro che da fuori si pongono come esterni spettatori, ma con la vividezza delle immagini di chi si è mascherato con vestiti altrui nel tentativo di attraversarlo. Proprio questa la storia di Aikins, che ha tentato il viaggio di fuga dall’Afghanistan insieme a Omar, con la necessità di toccare con mano una realtà diversa dalla propria e l’obiettivo di abbattere “il muro che è presente anche dentro ciascuno di noi”. Questo viaggio si svolge nel 2016 a causa di un’inaspettata apertura delle frontiere l’anno precedente. Nonostante fosse un interprete per l’esercito, Omar non ottiene il visto per la Turchia, situazione comune a molti profughi che arrivano in Europa illegalmente viaggiando senza documenti, con la consapevolezza che i loro passaporti sono senza valore. Grazie a questa mimetizzazione, Aikins ha avuto accesso in prima persona alla vita afghana e ha raccolto le autentiche testimonianze dei suoi compagni di viaggio.
Lo stesso individuo in America o in Europa vale dieci volte di più di uno che vive in Africa; questo è ciò che spinge ad attraversare un confine, cercare di raggiungere possibilità fino a quel momento precluse. Si avanza così un passo, ma al contrario di quanto atteso ci si ritrova intrappolati in un limbo burocratico, legale. E così, bloccati da frontiere invisibili ma ancor più umilianti, nel tentativo di sopravvivere, si resta confinati in un eterno esilio, che si prospetta l’unica possibilità di sopravvivenza.
Grazie allo strumento del giornalismo narrativo, l’autore porta il lettore con grande maestria a seguire le vite dei personaggi come se fosse un romanzo. Inoltre, grazie a questo stile narrativo ci si concentra non solo sul presente, ma anche sulle radici di questo fenomeno, indispensabili per comprenderlo.
“Tutti vorremmo cambiare qualcosa di noi, è il sogno di cui si nutre l’emigrazione: ricominciare da capo, il viaggio è il preludio, la vita viene dopo, ma nessuno può sbarazzarsi di se stesso. Abbiamo a disposizione una storia sola e la raccontiamo voltandoci indietro. L’importanza di ogni scelta, di ogni incontro fortuito, della mano di uno sconosciuto che trema sta in dove ci ha condotti. Siamo animali che raccontano storie e il nostro significato sta tutto nel finale”