A dieci anni dalle prime proteste contro il regime totalitario e dall’inizio della guerra civile in Siria, bombardamenti e attacchi sono quasi totalmente cessati, ma la crisi provocata da essi non accenna a placarsi. Come la dittatura al-Assad, se pur moderata dalla Russia, continua a ostentare il suo potere, così la sofferenza prevale sui civili privi di sicurezze, protezione e alternative.
La situazione attuale siriana viene presentata attraverso svariate sfaccettature durante il primo incontro dell’edizione di marzo 2021 del festival de l’Internazionale di Ferrara. Com’è la Siria oggi? Risponde a questa domanda la giornalista Zaina Erhaim, femminista che da anni si batte per i diritti umani e la parità di genere nei Paesi mediorientali, sottolineando come non si possa generalizzare la realtà siriana, poiché politicamente frammentata. Infatti il 65% del territorio, corrispondente alla zona centromeridionale, è ancora in mano al regime al-Assad, mente la parte nord-ovest è influenzata dalle truppe turcomanne a sostegno dell’opposizione e l’area nord-est è a maggioranza curda, infine alcuni territori sono assoggettati al jihadismo. Prevale una forte polarizzazione fra le varie regioni e la perdita di speranza accumuna anche coloro che desiderano l’ascesa della democrazia a discapito della dittatura.
La popolazione sta vivendo un periodo di stallo dalla guerra, tuttavia non ci sono dei presupposti per un periodo di pace e stabilità, in quanto crisi finanziaria, carestie, ingiustizie etiche e la pandemia continuano a minacciare i siriani. A contribuire alla precarietà e all’incertezza, afferma il politologo Ziad Majed, secondo ospite della serata, vi è anche la modalità con la quale il sistema totalitario coarta i cittadini, attraverso l’abolizione delle libertà individuali e dei partiti politici e l’attuazione della giustizia attraverso tribunali militari agenti con violenza simbolica e fisica nei confronti dei disertori del regime. Inoltre slogan legittimi a sostegno dei palestinesi e dell’antimperialismo seducono la popolazione, ma risultano essere retoriche mai applicate, anzi coloro che stanno al vertice sono colpevoli di azioni contradditorie rispetto a ciò che propagandano, per esempio invadendo il Libano o vigilando sistematicamente le vite degli uomini.
Inevitabili sono le ricadute negative del conflitto sui giovani che, essendo il futuro del Paese, emergono come le principali vittime. Ma cosa accade nel momento in cui il futuro non ha più futuro? Bambini abbandonati a sé stessi, costretti a subire violenze e privi di istruzione, saranno adulti nichilisti e “bombe che esploderanno” fra qualche anno. Occorre giustizia, dignità e stabilità psicologica poiché, come sostiene la giornalista siriana Yara Bader, terza ospite dell’incontro, un uomo o bambino lasciato solo, soppresso dal sistema, senza alternative e speranze, è predisposto alla vendetta e necessita urgentemente di aiuto e sostegno. Proprio sulla debolezza altrui i jihadisti traggono consenso e approvazione, infatti la popolazione, disperata dopo anni di abusi, è disposta a giungere a compromessi anche con dei gruppi più estremisti, che hanno bisogno della violenza della guerra per affermare il proprio potere. La mediatrice Francesca Gnetti, responsabile delle pagine mediorientali della rivista Internazionale, pone la questione di un possibile ritorno ad uno stato islamico, in seguito a recenti attacchi da parte di gruppi clandestini. “Non si può bombardare un’ideologia e lasciare un’altra ideologia analoga prendere il suo posto”, così afferma la Bader rispondendo al quesito proposto.
Affinché la situazione ritorni ad uno stato di equilibrio, sono necessari un cambiamento sociale, delle risposte alla popolazione e un intervento da parte dell’ONU. Proprio le Nazioni Unite hanno stanziato molti fondi per risolvere la situazione siriana, ma senza avere concretamente l’intenzione di operare un cambiamento, infatti ogni finanziamento destinato al Medio Oriente presuppone un ampio margine di rischio. Lo scenario siriano è stato scosso nella notte fra il 25 e il 26 febbraio da un attacco compiuto dalle forze militari statunitensi a danno delle milizie filo-iraniane, in territorio siriano al confine con l’Iraq. Nel mirino vi erano le truppe sciite che avevano condotto un assalto alle basi USA in Iraq solo dieci giorni prima. L’evento porta a chiederci quali siano le finalità del presidente americano Joe Biden, che riprese le iniziative nel Medio Oriente, non vuole consentire il danneggiamento dei suoi combattenti e ha intenzione di fornire un messaggio alla Russia, cioè “Gli americani ci sono ancora”. L’invettiva contro gli iraniani lancia un secondo avvertimento: il governo iracheno è un alleato comune.
La realtà siriana è fuori dalla portata umana, solamente i siriani della diaspora, conoscenti delle atrocità causate dalla guerra, possono rendersi partecipi dell’ascesa per i diritti umani attraverso azioni concrete. Dal 2011 è iniziata una rivoluzione sociale che continua a mutare, molte persone stanno cercando di liberarsi dalla narrazione del regime, che non è riuscito a boicottare le voci di molte donne attiviste, che invece hanno avuto successo nel manifestare le loro idee e trasmetterle ad altre donne.
Al di là delle speranze che stanno mergendo, “I civili pagheranno il prezzo del conflitto a prescindere dallo scenario che prevaricherà in Siria, un Paese che appare ancora un concentrato di crisi e contraddizioni, fuori da ogni prospettiva”, come evidenzia Zaina in due momenti differenti.