Cronache, Salone del libro 2021

Auschwitz attraverso gli occhi dei sopravvissuti


Eva Laura Giacomello, Giulia Zanetti


Nonostante il passare degli anni, la Shoah resta un tema di grande importanza e attualità.

Ne parla al Salone del Libro di Torino Halina Birenbaum, una fra le ultime sopravvissute,.
Nata nel 1929, emigrata ad Israele dopo la deportazione, ora è scrittrice, poetessa e traduttrice e ha pubblicato diversi libri per la casa editrice Museo di Auschwitz, in cui racconta gli orrori che ha vissuto.

Trascorsi i primi anni della sua vita nel ghetto di Varsavia, nel 1943 sperimentò sulla sua pelle la rivolta che vi avvenne. Durante il rastrellamento perse il padre e, assieme alla madre, restò nascosta in un bunker per tre settimane, mantenendosi in vita soltanto ad acqua e zucchero. Vennero poi scoperte dalle SS e caricate su un treno per essere deportate al campo di concentramento di Majdanek.

All’arrivo, sui vagoni le persone si abbracciarono per la gioia di non essere arrivate a Treblinka che, conosciuta per i forni crematori, significava morte. Nessuno era consapevole che fossero presenti anche dove erano appena arrivati. 

Persi nell’inconsapevolezza, vennero suddivisi fra destinati a sopravvivere e a morire: fu qui che venne separata dalla madre. Quando trovò il coraggio di chiedere alla cognata dove fosse andata, lei le rispose dicendo: “Non c’è la mamma, adesso sono io la tua mamma”. 

Con questo momento tragico, la sua permanenza ai campi toccò il fondo.

Alcuni mesi dopo venne mandata ad Auschwitz, dove subì un’ulteriore perdita, che la lasciò completamente sola al mondo.
Halina Birenbaum ricorda come, una mattina, sua cognata venne separata da lei per essere mandata a morire cremata viva. In un impeto di disperazione, corse verso l’ufficiale di sorveglianza pregandolo di risparmiarla. Quest’ultimo si fece convincere, e acconsentì a cancellare il suo numero dalla lista dei prescelti se lei si fosse zittita. A causa della gioia, la Birenbaum gli saltò al collo, ricevendo in cambio uno schiaffo.
Quando poté ricongiungersi con la parente, capì che da quel momento in poi non avrebbe più vissuto, ma respirato attraverso il suo respiro. Tuttavia la lasciò pochi giorni dopo in un letto dell’ospedale del campo.
Il gesto dell’SS le diede l’ispirazione per il titolo di uno dei suoi libri, “Non è la pioggia, sono le persone”: le azioni della gente possono opporsi a fenomeni indipendenti e di portata superiore a loro. 

Alla domanda: “Perché racconti la tua testimonianza?”, la scrittrice spiega come gli storici solitamente parlino delle uccisioni e della deportazione, tralasciando il trattamento riservato alle persone. Conclude raccontando che all’inizio gli abitanti di Israele, stato in cui ora vive, non volessero ascoltare la sua storia per vergogna del fatto che nessuno fosse intervenuto ad aiutare gli ebrei, ma dopo la cattura di Adolf Eichmann, uno dei maggiori funzionari responsabili dello sterminio, si decisero a prestarle attenzione.

 

Eva Laura Giacomello, Giulia Zanetti, Liceo Scientifico M. Grigoletti, Pordenone. 

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