Cinque Paesi, cinque storie politiche e sociali diverse, ma un solo filo conduttore: la lotta per una democrazia più rappresentativa, una democrazia che faccia gli interessi dell’intera popolazione.
Nella giornata di venerdì 1 ottobre, in occasione del Festival di Internazionale 2021, il Teatro Comunale di Ferrara ha ospitato quattro giornalisti che, rispondendo alle domande della moderatrice Camilla Desideri, hanno dibattuto sulla situazione politica e sociale in America Latina. I cittadini sudamericani non si fidano più e chiedono accesso paritario a sanità, istruzione e opportunità lavorative per combattere una disuguaglianza strutturale.
“A lottare sono soprattutto i giovani” afferma il giornalista Patricio Fernandez, nuovo membro dell’Assemblea Costituente, riflettendo sulle recenti rivolte in Cile, unico paese latinoamericano le cui proteste hanno effettivamente portato ad uno sbocco istituzionale. “Il Cile costituisce un esempio e una fonte di speranza” conferma Arturo Wallace, giornalista nicaraguense.
Il Nicaragua, invece, non ha avuto lo stesso successo. Nonostante fosse considerato uno dei paesi politicamente più stabili, nel 2018 si è trovato a fronteggiare un elevato numero di proteste in opposizione al governo sandinista di Daniel Ortega, in carica dal 2006. La risposta del presidente è stata brutale. Le rivolte sono state represse nel sangue e la democrazia definitivamente annientata. Ma questa violenza non ha fermato i cittadini che hanno costretto Ortega al dialogo, ponendolo di fronte alle conseguenze del suo modo di procedere, alle morti che questo ha causato.
La violenza, esito della maggior parte delle lotte, si è rivelata essere un elemento ricorrente, così come i social che, usati come strumento di divulgazione, ricoprono un ruolo fondamentale. “I social non sono la radice della protesta, ma permettono che si diffonda” afferma Lucia Capuzzi, giornalista e scrittrice, spostando il focus su Haiti, centro di manifestazioni continue dal 2018. Le prime critiche emerse proprio da Twitter, alimentate da rabbia e insoddisfazione, si sono trasformate in vere e proprie rivolte, in risposta alla sempre più evidente corruzione.
Haiti, seguita dalla Colombia, è il Paese latinoamericano con il più alto indice di disuguaglianza, elemento determinante per la nascita di manifestazioni e lotte.
Anche a Cuba le rivolte scoppiate nel 2020 si ricollegano a questo fattore. Dopo l’arresto del rapper Solìs, il movimento San Isidro, gruppo che difende la piena libertà di espressione, ha manifestato davanti al Ministero della cultura cubana, scatenando la reazione violenta delle forze dell’ordine. “Le autorità hanno preso di mira il movimento perché i suoi componenti sono poveri e di colore, non perché richiedevano la scarcerazione”.
Con queste parole, Carlos Manuel Alvarez, scrittore e giornalista cubano, sottolinea la vera ragione delle violente repressioni di cui il quartiere dell’Avana è stato teatro. Alcuni cittadini cubani stanno portando avanti uno sciopero della fame che non hanno intenzione di interrompere finché non verrà posta fine alla politica del “capitalismo di Stato”, dietro alla quale si nascondono le disuguaglianze esistenti.
Ciò per cui tutti i Paesi latinoamericani si battono è la dignità, parola chiave, insieme a “libertà” e “uguaglianza”, di questo periodo di lotta e di ricerca di parità. “Dobbiamo avere dei sogni per il futuro- afferma Patricio Fernandez– Sarà un’enorme sfida politica e culturale, ma dobbiamo raggiungere un accordo di trasformazione in modo che nessuno sia lasciato solo”.
Oggi, rispetto al passato, disponiamo di nuove forme di comunicazione per cui non abbiamo bisogno che altri parlino per noi, la nostra voce viaggia ovunque.
Per questo i Paesi latinoamericani dovrebbero unirsi e lasciare che i propri cittadini diventino protagonisti, che combattano insieme battaglie comuni, che parlino con un’unica voce.