«Il tempo è poco per tutte e io lo spreco facendo la lavatrice… e anche male» Queste le parole conclusive delle autrici di Femmina non è una parolaccia, Carolina Capria e Mariella Martucci che dialogano con Giusi Marchetta nell’incontro tenutosi giovedì 14 ottobre al Salone del Libro.
La narrazione si pone come obbiettivo creare bambini e bambine più consapevoli del valore delle Donne, attraverso alcuni esercizi che permettono ai genitori di avere strumenti adeguati per riflettere su questa tematica. La protagonista di questo romanzo è Nina che come ogni giovane donna si ritrova a scoprire sé stessa, il suo corpo e la visione che il mondo ha di lei. Attraverso Nina si può vedere come ancora oggi viviamo in una società cattiva in cui mancano persone che ascoltino le ragazze senza farle sentire sbagliate e insegnino loro, fin da piccolissime, a imporsi facendo rispettare le proprie scelte. Nonostante oggi venga considerata la possibilità di ricevere un NO da parte di una donna, il consenso è ancora un tema difficile da affrontare perché spesso le persone a cui più vogliamo bene sono quelle da cui è più difficile farsi rispettare. Le due scrittrici, nella loro storia, trattano questo argomento non solo attraverso la protagonista, ma anche attraverso una bambina afrodiscendente: quando qualcuno le tocca i suoi capelli voluminosi, esprime chiaramente il suo disappunto. In questo modo viene trattato il femminismo nella sua totalità e non nella sola ottica esclusiva del femminismo bianco. La battaglia delle Donne non è, o meglio non dovrebbe essere, una questione totalmente femminile; tutte noi necessitiamo di essere affiancate da uomini che colgano davvero il nostro vero valore e ci accompagnino stando a fianco a noi, anzi, a volte, un passo indietro.
Per crescere correttamente ogni bambina e ragazza avrebbe bisogno di un contesto costruttivo intorno a lei che le permetta di farsi domande e imparare fin da subito ad affrontare le difficoltà che l’aspetteranno legate al suo sesso. Infatti “Nina è Nina” perché i suoi genitori l’hanno seguita fin da subito nella scoperta della propria persona e, successivamente, del proprio corpo, rendendola sempre più curiosa.
Il libro vuole risvegliare le coscienze e richiamare la responsabilità di ogni adulto poiché “educare al femminismo è una responsabilità collettiva della società”. Quando si nasce in una collettività dove le decisioni importanti vengono sempre e solo prese da uomini si impara che la propria voce non ha importanza. Il punto di svolta sarebbe riconoscere che le donne possono sempre insegnare qualcosa e che gli uomini vivrebbero meglio in un ambiente non patriarcale, ‘togliendosi dalla testa‘ che i diritti delle donne possono togliere loro dello spazio.
Per concludere le autrici ci hanno lasciato con una domanda che riassume il significato dell’intero incontro e del romanzo: femmina e femminista sono davvero ancora considerate parolacce?