“Dobbiamo smettere di pensare che queste persone siano solo numeri, perché dietro ad ognuno di loro c’è una vita”. Introduce così l’autore iracheno Younis Tawfik, La sponda oltre l’inferno, nell’evento di giovedì 14 ottobre al Salone del Libro. Si tratta di un romanzo che narra la storia di cinque vite, cinque ragazzi immigrati che, ritrovandosi a Lampedusa accomunati dal percorso sin lì fatto, condividono le fatiche sopportate alla ricerca di una nuova vita lontana dalle guerre. Un racconto duro, che lascia poco spazio all’immaginazione, e che trasmette la crudezza di storie quotidiane che siamo abituati a considerare troppo distanti. In fondo, chi si imbarca su gommoni precari è soltanto alla ricerca della libertà come l’autore stesso, fuggito e riparato a Torino dove tuttora risiede. Dall’incontro trapelano informazioni intime di una vita che non deve essere stata facile: la fuga negli anni Ottanti dall’Iraq sotto la dittatura, la brutale esecuzione del fratello nel 2008 freddato con tre colpi di pistola secchi, in fronte, fino alla morte della madre nel 2017 per mano di un missile americano: sono queste le ferite che hanno segnato la vita di Tawfik, ferite che costituiscono il retroterra culturale dal quale il romanzo è sorto. La crudeltà del tema del romanzo non soffoca la poetica dell’autore che emerge nella drammaticità dell’ennesimo naufragio nel quale una bambina cerca invano la madre, suo unico punto di riferimento, a cui si rivolge per descrivere i corpi attorno a lei che assomigliano solo a ombre addormentate.
Il Mar Mediterraneo che fa da sfondo al romanzo rappresenta metaforicamente un ponte che collega due mondi, due culture, due esperienze di vita che ci ricollegano idealmente con la Divina Commedia. Infatti anche l’immigrato è, per l’autore, alla ricerca di un “Paradiso” che lui spera di trovare sull’altra sponda, ma non si tratta di un luogo idilliaco in cui niente è fuori posto. Per chi nasce sotto le bombe, il “paradiso” è semplicemente un luogo sicuro dove si possa vivere una vita tranquilla. Dante si dimostra punto di riferimento non solo della cultura occidentale, ma anche di chi proviene dal mondo arabo: infatti è per leggere la Commedia in lingua originale che l’autore ha deciso di attraversare quella sponda per imparare l’italiano. E’ lo stimolo che spinge lo scrittore iracheno a non fermarsi alla superficie della realtà, a non vedere dei numeri in quelle sagome che nel nero della notte calano a picco nel Mediterraneo, bensì degli esseri umani che soffrono.