Una cosa che ti ha colpito
A primo impatto, dovendo rispondere alla domanda “cosa ti ha colpito?” risponderei senza indugio che a colpirmi è stata la scorrevolezza del libro, poi, riflettendoci un attimo, direi invece che è stato il confronto con gli aspetti umani più disparati che ci vengono presentati. Forse non biasimerei neanche quei comportamenti che sembrano più freddi e distaccati, perché sono resa conto di rispecchiarmici: la scarsa attenzione al tempo, la tendenza a rifiutare ciò che mi spaventa, il farmi trascinare dagli eventi senza dare significato alle piccole cose, il non accogliere subito ciò che è lontano dal mio pensiero, la difficoltà nel trovare le parole giuste per esprimere quello che voglio… potrei continuare a lungo, ma la mia intenzione è piuttosto quella di spiegare che La Peste, proposta in questo momento storico, non rappresenta un pilastro della letteratura solo perché narra di un’epidemia e dei conseguenti provvedimenti che ci fanno tornare a marzo e aprile del 2020, ma perché ci fa riflettere innanzitutto sulla vita quotidiana e sui normali atteggiamenti dell’uomo, estremizzati in una situazione sanitaria critica.
Una frase del libro da conservare
capitolo II, pag. 99
“… Perciò, incagliati a mezza via tra quegli abissi e quelle vette, più che vivere galleggiavano, in balia di giorni senza direzione e di ricordi sterili, ombre erranti che avrebbero trovato forza solo accettando di radicarsi nella terra del loro dolore.
Provavano così la sofferenza profonda di tutti i prigionieri e di tutti gli esuli, che è quella di vivere con una memoria che non serve a niente. Persino il passato a cui pensavano in continuazione aveva solo il sapore del rimpianto.”
Commento su “La peste” di Gaia Mossa