Non sono completamente certa del fatto che in futuro potrei compiere una rilettura di questo romanzo: in primo luogo, non è il mio genere. Poi c’è poca azione, elemento alquanto importante per me quando mi cimento nella lettura di un libro, dato che è proprio l’azione a farmi venir voglia di proseguire con la lettura. Tuttavia, la Peste di Camus è uno dei pochi libri che mi rimarrà impresso nel cuore a lungo periodo. Innanzitutto ritengo molto adeguata la scelta del titolo, “La peste”, riassunto perfetto dei temi affrontati all’ interno del romanzo.
Il narratore ci pone sin dal principio davanti alla situazione di inizio, ovvero l’arrivo del flagello, per poi mostrarci la reazione dei personaggi di fronte a questo problema. Il libro è lento, e ciò potrebbe far venire voglia di chiudere immediatamente il libro; ma, oltre ad andare a pari passo con lo stato d’animo degli abitati d’Orano, è proprio questa lentezza che fa comprendere al massimo il perché che vi è dietro ad ogni reazione di ciascun personaggio e dei suoi modi di affrontarla. Se Camus non avesse introdotto il dialogo tra Rieux e Rambert, in cui quest’ultimo chiede al protagonista di concedergli un permesso per poter lasciare la città, non avrei capito che più che egoismo, quello del giornalista è un sentimento di paura. Se Camus non avesse inserito la scena della predica di Paneloux nel corso del romanzo e il suo dibattito con Rieux, non sarei riuscita a cogliere fino a in fondo che chi ricercava un aiuto nella religione non lo faceva per negare o allontanarsi dalla realtà ma più per avere un’ancora di salvezza, nel caso in cui peggio fosse accaduto, ad esempio.
Camus mette in assoluta evidenza tutti i sentimenti che si potevano e che noi stessi abbiamo provato nel corso della pandemia, quali terrore, voglia di scappare, amore, oscurità, sofferenza, solitudine; questi non sono altro che emozioni che contribuiscono a conferire al libro un’atmosfera grigia, unita alla descrizione di Orano che viene definita sin dal principio come una città brutta. Una particolarità che ho apprezzato molto è che il libro è a tal punto completo che diventa estremamente facile catapultarsi all’interno del romanzo e assistere alle vicende attraverso gli occhi del personaggio protagonista Rieux. Questa facilità, a mio avviso, viene conferita grazie a due elementi; il primo è il linguaggio utilizzato dall’autore, che si riscontra semplice, diretto e chiaro ma che comunque si trattiene su un livello alto e ricercato; il secondo elemento, che è anche quello più evidente, è dato dall’estrema somiglianza che vi è tra la situazione che stiamo vivendo noi ora, e quella degli abitanti di Orano. Leggere “La peste” di Camus è equivalso infatti a leggere un diario scritto da un uomo del ventunesimo secolo che ci racconta del coronavirus, della reazione che abbiamo tenuto di fronte ad essa e delle sue conseguenze.
Un altro aspetto che ho notato una volta terminata l’opera è che questa non cerca esattamente di essere una guida, ma più una testimonianza, e proprio per questa ragione posso anche dire che si tratta di un libro della quale bisogna apprezzare la veridicità.
In conclusione, consiglio questo libro a non solo chi ama catapultarsi in lunghe letture, ma soprattutto a chi ama porsi domande e riflettere.