Cantica
Canto
Perché è importante leggere questo canto ancora oggi?
Oggi Dante si può definire il più grande poeta italiano, riconosciuto in tutto il mondo come il padre della Lingua Italiana, poiché è stato il primo a dare maggiore importanza al volgare in un’epoca dove tutti consideravano il latino una lingua perfetta. Egli scriveva nel volgare fiorentino del 1300, utilizzato anche nella sua opera più importante, la Divina Commedia, la quale ha avuto così tanto successo che la lingua utilizzata dal poeta è diventata la base dell’italiano attuale. Molte parole che utilizziamo oggi, seppur alcune con un significato differente, erano già presenti nel capolavoro di Dante.
Mi piacerebbe analizzare il canto XXVI dell’Inferno per capire più da vicino l’attualità che ha ancora oggi la Commedia.
Dante si trova insieme a Virgilio nell’VIII cerchio dell’Inferno, le Malebolge. In corrispondenza dell’8° bolgia, dove ci sono i consiglieri fraudolenti, cioè le persone che aiutarono gli altri a prevalere con la frode e l’inganno, i due poeti vedono tante fiamme e si fermano a parlare con due di loro in particolare: Ulisse e Diomede. L’eroe greco si trova in tale girone perché partecipò all’inganno che portò alla distruzione di Troia.
In questo canto però, viene raccontato il “folle volo”, ossia la temeraria navigazione compiuta da Ulisse e dai suoi compagni.
Inizialmente l’eroe greco parla di sé, mettendo in evidenza il suo sogno di diventare esperto del mondo, quel desiderio di sapere che caratterizza gli uomini e li distingue da qualsiasi altro essere vivente; poi racconta del tragico viaggio oltre le Colonne d’Ercole. Queste ultime segnavano il limite del mondo accessibile: chiunque avesse provato a superarle non era più tornato indietro e Ulisse ne era a conoscenza.
Spinto dalla voglia di scoprire il mondo, convinse i suoi uomini, inizialmente contrari e frenati dalla paura dell’ignoto, ad attraversare lo stretto di Gibilterra per mezzo di un breve discorso: “l’orazion picciola”.
La frase più significativa che dice ai suoi compagni è “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”; queste parole sono un po’ il nocciolo del discorso.
L’eroe greco con “viver come bruti” voleva intendere il vivere senza curiosità, come fanno gli animali che vivono d’istinto, senza ragione. Quest’ultima si nutre di voglia di sapere e la curiosità comporta anche dei rischi che è giusto correre per seguire la propria natura.
Questa è la parte più attuale perché la natura degli uomini del Trecento è la stessa di quelli del giorno d’oggi. La voglia di conoscere e di scoprire il mondo, che deriva dalla ragione, è il tratto fondamentale che distingue gli uomini dagli animali, caratterizzati solo dall’istinto.
Basti pensare a Cristoforo Colombo che, nel XV secolo, ancora giovanissimo e spinto dalla curiosità di sapere che cosa ci fosse oltre il limite conosciuto fino a quel momento dagli uomini, iniziò a navigare nel Mediterraneo e nel mare del Nord, poi si trasferì a Lisbona dove delineò il progetto del suo viaggio attraverso l’Atlantico. Questo programma, finanziato dai re di Spagna, era un investimento incerto poiché neanche l’ideatore del piano stesso sapeva con certezza che cosa avrebbe trovato oltre l’oceano, ma nonostante questo la voglia di scoprire l’ignoto era così grande da tentare comunque il viaggio. Sarà poi Amerigo Vespucci ad accorgersi che quello sul quale erano sbarcati non era l’Asia, bensì un nuovo continente.
Allo stesso modo nell’Età Contemporanea possiamo ritrovare la medesima voglia di conoscere e scoprire la parte ancora ignota del mondo nelle spedizioni nello spazio. Per esempio, una missione che segnò un punto di inizio nella corsa allo spazio fu quella di Jurij Gagarin del 12 aprile 1961. Egli fu il primo uomo ad essere lanciato nello spazio e per questo al suo ritorno divenne una celebrità internazionale.
In conclusione l’uomo fin dall’antichità ha sempre avuto quell’istinto di curiosità che lo distingue da tutti gli altri esseri viventi. Ulisse ha fatto bene, ha sfidato consapevolmente i limiti imposti da Dio sapendo che il desiderio di conoscenza si appaga anche disobbedendo.
E’ la ricerca di una verità più “vera” di quella che viene presentata ciò che porta l’uomo a disobbedire, quella sensazione di non conoscere mai fino in fondo le cose o di averlo fatto in modo sbagliato.
Ecco, quello che distingue l’uomo è l’intelligenza, la capacità di dire: “No, secondo me non è così”.
Ed è quella che apre poi infinite strade.
Una terzina, o dei versi di Dante da conservare
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
vv-118-120
Se questo canto fosse una canzone, un film, una serie tv
“Il coraggio di andare” di Laura Pausini
L’autore/autrice di questo articolo viene da
Scuola
Ulisse è l’antesignano degli esploratori moderni. Come lui, altri dopo di lui hanno affrontato l’ignoto per raggiungere nuove frontiere; diversamente da lui, qualcuno ce l’ha fatta. Non è però il desiderio del successo ad accompagnare esploratori come Ulisse, Colombo o Gagarin, ma la curiosità che sostiene la ricerca della verità. E spesso la curiosità è anche ciò che porta a disobbedire, a superare i limiti imposti, a verificare di persona che cosa c’è oltre ed al di là di ciò che viene proibito. Da qui il quesito: nell'”orazion picciola” si può avere canoscenza senza virtute?