Un reportage che racconta come l’evoluzione negli ultimi anni della criminalità organizzata nel Sud Est Asiatico: è questo “Asia criminale” (Baldini+Castoldi, 2025) di Massimo Morello e Emanuele Giordana. L’incontro è stato moderato da Junko Terao, al Festival Internazionale a Ferrara domenica 5 ottobre alle ore 11.30.
Una criminalità che sta divorando queste terre, Laos, Thailandia e Myanmar, abbandonate a se stesse e prive di attenzione da parte dei media e dove la guerra le permette di fiorire e di nascondersi. Una criminalità che si è saputa reinventare di fronte al blocco totale causato dalla pandemia, spostando infatti i propri business dalla rete di casinò birmana alle cosiddette “Scam Cities”: nate dall’alleanza tra la Triade cinese (organizzazione di stampo mafioso) con le mafie filo-laotiane e filo-birmane, si tratta di veri e propri centri di truffa, protetti da muri di filo spinato e guardie armate, che vengono popolati da donne e uomini attirati dalla promessa di lauti stipendi per la loro formazione da informatici. Promessa che è più una “mezza verità”, perché il salario è reale, ma frutto di una vera e propria schiavitù: gli adescati (che ammonterebbero a circa 200-300 mila persone, di 28 nazionalità diverse), una volta arrivati a Bangkok, seguendo le indicazioni ricevute, vengono deportati in queste strutture al confine con la Birmania, dove vengono ritirati i documenti e i cellulari. Successivamente viene insegnato loro, con tanto di manuali di psicologia, come instaurare un rapporto con le vittime in modo da conquistare una fiducia tale da indurli a investire la loro intera liquidità in criptovalute. Ecco che i cyber-schiavi diventano, loro malgrado, cyber-truffatori.
Le vittime e i truffatori sono per la maggior parte cinesi e, proprio per questa ragione, Pechino ha incentivato un’operazione di polizia thailandese che ha portato alla liberazione di 7 mila schiavi lo scorso maggio. Il problema è però ancora lontanissimo dall’essere risolto: si parla infatti di un giro di denaro annuale pari alle spese militari impiegate dagli USA in Iraq (circa 3 mila miliardi di dollari). Un’enorme ricchezza che però viene reinvestita a piacimento delle mafie: emblematico è il caso della provincia laotiana di Bokeo, di cui una parte è stata affittata (letteralmente) dallo stato a un noto mafioso con il nome di “Zona Economica Speciale” (ZES), in cui egli agisce autonomamente libero dalla giurisdizione locale. Qui ha costruito un aeroporto internazionale per attrarre giocatori d’azzardo, un porto fluviale di acque profonde e una replica del Canal Grande.
I governi nazionali si sono mossi per riciclare queste infrastrutture provenienti da ricchezza sporca: una volta che l’area si è sviluppata e la ZES è stata abbattuta, l’economia di quella zona crolla, lasciando un vuoto. A questo punto l’autorità nazionale crea una nuova ZES, attirando nuovi investitori con ricchezza pulita in un territorio colmo di infrastrutture, lasciate dai mafiosi.
Le velocità elevate con le quali queste nazioni freneticamente rincorrono il progresso, generano luci e ombre, ombre nelle quali si insinuano le mafie, tenendosi nascoste dai mass media.