“Le parole sono importanti”. Non è solo una citazione celebre, ma il cuore pulsante dell’incontro “Parole proibite” tenutosi il 4 Ottobre al Festival di Internazionale a Ferrara 2025 che ha visto protagonisti Barbara De Micheli, esperta di politiche di genere, e Andrea Pető della Central European University of Vienna. L’incontro ha offerto una riflessione profonda e urgente sul modo in cui il linguaggio è diventato terreno di scontro politico e simbolico, in Europa e non solo.
Per anni attiviste e studiosi si sono battuti per legittimare termini legati ai diritti civili, al genere, all’identità. Ma oggi proprio quelle parole, un tempo strumenti di liberazione, vengono etichettate come “pericolose”, censurate o accusate di appartenere a una “ideologia”. Secondo le relatrici, si tratta di una strategia deliberata messa in atto da movimenti antiliberali e governi conservatori, volta a minare il discorso pubblico e a riscrivere le regole della normalità.
Il concetto di “genere” è diventato uno dei bersagli principali. Non si attacca più solo ciò che rappresenta, ma il termine stesso, svuotandolo di significato o trasformandolo in una minaccia. “Il genere non è quello che pensate” è stato detto “è una costruzione simbolica, un elemento narrativo che serve anche a mobilitare le politiche pubbliche e a costruire consenso o opposizione”.
L’incontro ha sottolineato come la guerra contro il linguaggio sia una guerra fredda, ma non per questo meno efficace. Le parole vengono bandite, ridicolizzate o rimpiazzate da nuove terminologie.
Il rischio, secondo Andrea Pető, è che si ripetano dinamiche già viste in periodi bui della storia europea: la delegittimazione del sapere, la censura del linguaggio, la marginalizzazione delle differenze. “Dobbiamo sapere cosa leggiamo e da chi”, è stato detto, “perché capire quali sono gli strumenti retorici usati è il primo passo per contrastarli”.