Cronache, Internazionale a Ferrara 2025, Salone del Libro 2025

La lezione inascoltata di Srebrenica


Giulia Paltrinieri e Giovanna Grata

Liceo L. Ariosto - Ferrara

È importante sapere che uno che ha vissuto la guerra in prima persona non considera colpevoli i soldati perché sono stati obbligati ad uccidere”, così afferma il regista Ado Hasanović, protagonista dell’evento “La lezione di Srebrenica”, tenutosi in Biblioteca Ariostea sabato 4 ottobre durante Internazionale a Ferrara, insieme a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, Jacopo Zanchini, vicedirettore di Internazionale e Alessandra Annoni, giurista.

I relatori in particolare hanno iniziato l’incontro riflettendo su che cosa si intenda per genocidio e se si possa fermare.

Genocidio è l’eliminazione intenzionale e sistematica di un intero gruppo etnico.  

Dopo la dissoluzione della Jugoslavia, ad esempio, durante il conflitto etnico tra bosniaci musulmani, serbi e croati, l’ONU decise di istituire delle zone protette tra cui la città di Srebrenica, in cui molti musulmani, e fra questi la famiglia di Hasanović, si trasferirono pensando di essere al sicuro. Invece verso il 9 luglio 1995, la zona protetta di Srebrenica e il territorio circostante furono attaccati dalle truppe dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, e dopo un’offensiva durata tre giorni, l’11 luglio l’esercito, sotto la guida del generale Ratko Mladić, oggi in carcere all’ergastolo, riuscì ad entrare definitivamente nella città di Srebrenica e a compiere un massacro, uccidendo oltre 8.000 musulmani bosniaci, per lo più uomini e ragazzi, con l’intento di impedire la nascita di bambini e quindi sterminare l’intera etnia.              

Su questi avvenimenti è stato girato un documentario da Ado Hasanović intitolato “I diari di mio padre” un’opera, che rappresenta, con filmati originali e testimonianze scritte dal padre di Hasanović, non solo la sua famiglia ma anche la memoria collettiva

“Da un giorno all’altro abbiamo perso tutto” ha dichiarato il regista e “Avevamo più paura della fame che delle granate”. In un filmato originale, incluso nel documentario, il padre chiede alle persone quanto pensano che la guerra durerà. Molti sono fiduciosi e rispondono che durerà poco, ma una risposta, in particolare, ha colpito molto Jacopo Zanchini: anche allora dicevano “Speriamo di non essere sfortunati come i palestinesi, che sono in guerra da una vita”

Nel documentario Hasanović racconta anche che il corpo di suo nonno paterno non è mai stato identificato e che quello del nonno materno, già ferito, è stato gettato nelle fosse comuni. La paura di essere catturati ed uccisi è stata così profonda che “Anche dopo la fine della guerra, per 8 anni ho dormito con la luce accesa” ha raccontato l’ospite, emozionando il pubblico e trasmettendogli l’idea di quanto possa essere crudele il genere umano.

In conclusione l’ospite ha dichiarato che 15 persone sono state condannate per il genocidio di Srebrenica, ma il pubblico ha potuto capire che la lezione di quell’evento tragico non è servita ad evitare che nuovi genocidi si ripetessero. 

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