Adotta uno scrittore, Adotta uno scrittore 2025

Laura Pezzino racconta la sua adozione


Laura Pezzino

IIS Des Ambrois - Bardonecchia

Quando scendo alla stazione di Bardonecchia per incontrare le classi della scuola media secondaria, il termometro appeso fuori dall’hotel al di là della strada segna -5 grandi. Anche se è febbraio io, che a volte sono tutto il contrario che attenta, ero partita da Milano con un cappottino elegante ma cittadino. Per fortuna la sera prima, a Torino, una persona molto gentile mi aveva prestato il suo caldissimo parka blu dicendomi: vedrai, non te ne pentirai.

Ed eccomi qui, con il corpo al caldo e i piedi gelati dentro i miei stivaletti eleganti e cittadini che, alla prima pozza ghiacciata, mi mandano dritta per terra, e per fortuna che l’atterraggio è attutito dall’imbottitura!

Un po’ stordita e ancora assonnata per via della levataccia, riesco comunque a raggiungere la scuola, dove mi accolgono il vociare dei bambini (nei corridoi sciamo i piccoli delle elementari) e, soprattutto, Vincenza e Alessandra, le insegnanti di italiano, due giovani donne del sud che, perché amano il proprio lavoro, hanno scelto di trasferirsi su quelle montagne lontanissime dai posti, molto più caldi, in cui sono cresciute.

Entro in aula e una trentina di ragazzi di seconda e terza media, quasi tutti più alti di me (ma a dir la verità, non è che ci voglia un granché) si alzano in blocco. Sedetevi pure, dico io molto imbarazzata.

Con loro, grazie al geniale progetto Adotta una scrittrice (so che è declinato al maschile, ma io qui voglio rivendicare il mio essere una scrittrice!) dovrò incontrarmi per tre venerdì di fila. Sono giorni che mi chiedo: sarò all’altezza delle loro aspettative? Troverò cose interessanti da dire? Avranno apprezzato il mio libro?

Il giorno in cui cambiò ogni cosa è il mio primo romanzo per ragazze e ragazzi: decido che partirò da qui, dal momento in cui per la prima volta ho immaginato di scriverne uno. Ero più piccola di voi, racconto, e avevo una vera e propria ossessione per i libri. Partono le domande, e sono diverse da quelle che mi aspetto: ha disegnato lei la copertina? (I ragazzi mi daranno sempre del lei, le insegnanti gli hanno detto di fare così e io non li correggerò). Come mai ha deciso di intitolarlo così? Quanto guadagna una scrittrice? Molto, molto concreti, questi studenti: io tuttora sono molto più idealista di loro, penso mentre provo a rispondere in maniera intelligente.

Assieme alle insegnanti avevamo deciso di suddividere il testo in tre parti , per dare a tutti e tutte il tempo di finirlo o, almeno, di provarci. E che stupore vedere questi giovani esseri umani arrivare preparati (quasi tutti, e ci mancherebbe, i ragazzi e le ragazze sono sempre così impegnati) nonostante tutto!

Nelle ore trascorse insieme parliamo di un mucchio di cose, le più disparate – tra cui: hikikomori, manicomi, carceri, tempo trascorso sui cellulari, la pistola di Cechov* e perfino le poetesse!**. Qui di seguito, però, vorrei appuntarne tre che mi sembrano importanti.

La prima: chi erano le staffette. No, non sono (soltanto) le corse di atletica, ma delle ragazze super coraggiose che, durante la Resistenza, hanno rischiato tutto quanto per combattere i nazifascisti.

La seconda: che cosa vuole dire essere partigiani. Per farla semplice, significa decidere di stare da una parte, quella giusta. Durante la Seconda guerra mondiale, i partigiano erano quelli che si erano opposti al regime fascista, ma essere «partigiani», ripetiamo più volte in classe, è qualcosa che facciamo tutti i giorni quando ci troviamo di fronte alle mille scelte che la vita ci pone davanti. Sta solo a noi decidere come e chi vogliamo essere.

La terza: l’estate. La storia che ho deciso di raccontare parla dell’estate, che è quel momento in cui, soprattutto quando si è piccoli, si cresce. È vero, dicono loro, quante volte arrivati a settembre abbiamo sentito di essere delle persone completamente diverse da quelle che eravamo solo tre mesi prima!

Tre incontri, me ne rendo conto alla fine, sono pochi per parlare di tutto quello di cui avrei voglia di parlare con loro, e per questo sono contentissima di rivederli ancora una volta a maggio al Salone.

Concludo questa mia breve testimonianza fissando qui quella che forse è stata per me l’emozione più grande di quei giorni.

Breve premessa: nel mio romanzo c’è una personaggia, di nome Musine, che racconta di quando i suoi genitori, negli anni Novanta, avevano lasciato l’Albania, dove il regime al governo perseguitava gli oppositori, per l’Italia. Ne stavamo parlando tutti insieme quando una ragazzina ha alzato la mano. «Anche mio padre è venuto in Italia sulla Vlora!», cioè la gigantesca nave che, nel 1991, aveva trasportato migliaia – 20mila! – albanesi in fuga fino al porto di Bari. Silenzio. Stupore. Commozione (mia). Non tutti i compagni erano a conoscenza di questa storia famigliare così straordinaria, così ce la siamo fatta raccontare per intero. È la potenza, e anche la magia, della letteratura, quella di fare viaggiare nel tempo e nello spazio tuti coloro che sono disposti a prestare attenzione. Che momento memorabile!

* È una specie di «regola» narrativa per cui, per esempio, se a un certo punto in una storia viene introdotta una pistola, prima o poi quella pistola dovrà sparare o, comunque, servire a qualcosa. Ogni elemento di una storia, infatti, deve essere rilevante. Sapete qual è stata la «nostra» pistola di Cechov? La bici che Jader regala a Cora, la protagonista!

** Le classi rimangono colpite, e un po’ interdette, dalla storia di Emily Dickinson, che non usciva quasi mai di casa e scriveva i suoi versi su dei pezzettini di carta. All’incontro successivo una studentessa confesserà davanti a tutti che anche lei scrive poesie!

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