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A Torino esiste un sentiero, raggiungibile uscendo dalla ciclabile che attraversa San Mauro e prosegue fino a Lingotto, che porta alla basilica di Superga. Non credo che sia molto famoso e probabilmente sono pochi coloro che lo conoscono al di fuori dei ciclisti che lo percorrono ogni giorno. D’altronde l’unico segnale che indica la sua presenza è una mappa stesa su un cartello di legno piantato al bordo della strada, quella che divide la pista delle bici dall’ingresso del sentiero. Nemmeno saprei dire di preciso come a Sara venne in mente l’idea di percorrerlo, ma penso che affrontare un simile cammino fosse l’ennesimo tentativo di dimostrare ai suoi genitori che il suo fisico allenato fosse in grado di sopportare anche la fatica di scalare una ripida collina. Praticava tre sport, eppure loro non sembravano mai soddisfatti del suo rendimento. Che però era oggettivamente molto positivo.
Ricordo ancora quando, all’uscita di scuola, ci propose di intraprendere con lei quella lunga camminata: il pullman alla stazione faceva un rumore simile a quello di un trattore, abbastanza fastidioso da coprire i sospiri stanchi che uscivano incontrollabili dalle nostre narici.
– Superga? Di sabato? Al mattino? Ma piove… sabato piove. E poi guarda quanto è lontana Superga, – Giorgio puntò l’indice verso una nuvola, – nemmeno si vede.
– Io ci sono, – lo interruppe Alice, che aveva appena finito di contare le verifiche che aveva in programma per la settimana dopo, in modo da accertarsi di avere abbastanza tempo per studiare. Il tono di voce con cui scandì le parole rendeva chiaro che non fosse contenta della scelta che aveva appena fatto.
– Anche io ci sono, – quasi sussurrai, e alla fine anche Giorgio cedette. Avremmo potuto benissimo inventarci una scusa, ma c’era qualcosa che ci spinse ad accettare quella sfida; un sentimento dalle profonde radici che viveva in noi senza che ne avessimo coscienza; una voce interiore che a ciascuno sussurrava consigli diversi.
Alice avrebbe finalmente messo a tacere sua zia, che non faceva altro che tormentarla con la solita predica: – sei sempre chiusa in casa, esci ogni tanto! – Io e Giorgio volevamo mettere alla prova le nostre capacità, perché sapevamo di valere più di quanto dicessero i nostri compagni di classe, che ci sceglievano sempre per ultimi in palestra.
Quel sabato mattina i raggi del sole parevano attraversare le foglie degli alberi non curandosi della loro presenza. Salivamo il sentiero a passo veloce, prima parlando di scuola poi di quanto facessero schifo le canzoni all’Eurovision. Non ci fermammo neanche per bere perché per qualche motivo avevamo deciso che dovevamo essere di fronte alla basilica per mezzogiorno. Era una di quelle regole che avevamo stabilito poco prima di partire, convinti che un minimo di organizzazione ci avrebbe aiutati a compiere quella sfida.
– Qualunque cosa accada, dobbiamo rimanere uniti…, – aveva sottolineato Alice mentre si sistemava il berretto beige sulla testa.
– Sì, e prima di tornare indietro dobbiamo scattarci una foto, – aveva aggiunto Giorgio. E mentre annuivamo ad ogni affermazione pronunciata per esprimere la nostra approvazione, ci rendemmo conto che mai prima di allora ci era capitato di pianificare delle attività specifiche durante le nostre uscite.
Avevo appena finito di controllare Google Maps, realizzando che non saremmo mai arrivati in tempo, quando mi accorsi che Giorgio era rimasto indietro.
– Come piove forte oggi! – esclamai tornando da lui. Anche Alice si fermò per aspettarlo, mentre Sara pareva continuare trascinata dal desiderio di gloria. La chiamammo ma non rispose, e soltanto qualche minuto più avanti la trovammo seduta su un tronco tagliato a sbuffare annoiata. Mi trattenni dal ricordarle che il nostro obiettivo era raggiungere la cima tutti insieme perché sapevo che la sua reazione sarebbe potuta essere tranquilla come anche incontrollabile.
Si accese una sigaretta e Giorgio provò a prendergliela. – Dai, lasciami un tiro, – ma lei si allontanò subito andando a sfiorare il braccio di Alice.
– Ahia! Mi hai bruciata! – saltò lei, spingendomi verso il limite del sentiero. Fu una catena di eventi perfetta; lo strike dei birilli al bowling. E mentre cercavo di trovare una presa per non cadere, sentivo Giorgio gridare:
– Il fumo non ti fa bene, atleta!
Guardai in basso. A qualche metro dalla mia vista, le piante dalle foglioline verdi mosse da un vento leggero parevano tremare dalla paura che potessi cadere addosso a loro.
– No! No! La sigaretta sull’erba! Spegni! Schiaccia con i piedi!
Poi il mio corpo in lotta per mantenere l’equilibrio venne finalmente tirato da una mano sudata che lo riportò sul sentiero. I miei amici mi guardavano con occhi stupiti, simili a quelli di un neonato che guarda gli eventi particolari del mondo per la prima volta. Ero stata veramente ridicola e per poco non caddi per una spintarella. Ma non diedero peso alla faccenda, forse perché anche le loro azioni non erano state furbe.
Proseguimmo svelti. Erano le undici e ,secondo un cartello, mancavano ancora cinque chilometri. Giorgio si stava lamentando che ci saremmo persi nonostante stessimo seguendo le indicazioni presenti nel percorso, quando ci accorgemmo che, alla nostra sinistra gli alberi avevano lasciato uno spazio da cui era possibile ammirare tutta Torino. Il Po, la Mole e… Un suono secco, proveniente dalle nostre spalle, ci costrinse a staccare gli occhi da quel panorama.
– Alice! – esclamò Giorgio, sedendosi accanto a lei. Era caduta su un cumulo di foglie giallognole ma dal rumore che aveva prodotto si era fatta sicuramente male. Disse che le girava forte la testa e che le veniva da vomitare. Sara tirò fuori dalla sua sacca una bottiglia d’acqua fredda e gliela appoggiò sulla fronte.
– Aiuto! Aiuto! – gridava, vinta dal panico. – Alice svegliati! Che hai?
– Fai piano, non aiuti così, – sussurrò Giorgio.
Io intanto riuscii a vedere avvicinarsi un gruppo di anziani che camminavano con i bastoni da arrampicata quasi attaccati. Li raggiunsi e riuscii a portarli da Alice. Lei non ci mise molto a riprendersi: probabilmente soffriva di vertigini, ma noi non lo sapevamo, e forse nemmeno lei.
Quando ricominciammo a camminare, io e Giorgio restammo al fianco di Alice, cercando di distogliere la sua attenzione dal bordo del sentiero che meglio mostrava l’altitudine a cui ci trovavamo. Sara non stette al nostro passo e in poco tempo non riuscimmo più nemmeno a vedere la sua sacca. La immaginavo già seduta di fronte alla basilica che ci aspettava a braccia incrociate, con aria di chi la sa lunga. Sapevamo tutti che il suo corpo allenato le permetteva di compiere il cammino più velocemente di noi, ma una regola era stata stabilita, e andava rispettata: dovevamo raggiungere Superga tutti nello stesso momento. Non aveva senso se qualcuno arrivava a mezzogiorno in punto mentre gli altri erano ancora indietro. Accelerai il passo senza nemmeno rendermene conto, mentre la testa mi bolliva per la stanchezza. Proseguii animata da un forte desiderio di riportare ordine nel nostro piccolo gruppo, come se fossi stata un’agente delle forze dell’ordine alla ricerca di un teppista che non aveva rispettato la legge, fino a quando raggiunsi Sara. Appena mi sentì arrivare si voltò subito e rimase alquanto stupita di vedermi.
– Finalmente qualcuno che riesce a camminare veloce, – disse, mentre cercavo ancora di stabilizzare il respiro affannato. Ero esausta, e farle notare il suo errore sarebbe stato inutile, perché molto probabilmente avrebbe continuato a fare di testa sua. Eppure questa volta non rimasi in silenzio: qualcuno doveva almeno provare a dirle qualcosa, altrimenti la situazione non sarebbe sicuramente cambiata.
– L’obiettivo del nostro percorso non è solo arrivare in cima in orario… Se non ricordo male, quando è stato detto che dovevamo arrivare alla basilica tutti insieme, anche tu eri d’accordo.
Non disse nulla. Il suo sguardo si spostò prima sulle pietrine del sentiero ricoperte di sabbia, poi rimase fisso sulla città di Torino, che a quell’altezza pareva veramente piccola.
– Torniamo indietro, – parlò infine, senza togliere lo sguardo dal panorama. Dal tono della voce capii che aveva seriamente riflettuto sulle mie parole; non era stufa, piuttosto pentita.
Alice e Giorgio non fecero domande quando ci riunimmo a loro, anche se i loro volti interrogativi mi fecero capire chiaramente che non si aspettavano il ritorno di Sara. Percorremmo insieme e silenziosamente gli ultimi chilometri. Ognuno conversava con i propri pensieri senza condividere i propri dialoghi interiori. Così, nella quiete della nostra camminata compiuta da piedi trascinati meccanicamente, mi resi conto che quella salita ricca di difficoltà verso la cima della basilica pareva tanto l’ascesa di Petrarca sul Monte Ventoso.
– Dai! Che se ci è riuscito Petrarca a salire un monte…- ruppi il silenzio.
– No, ti prego. Ho la verifica lunedì, – mi fulminò Giorgio con lo sguardo.
– Te la potevi risparmiare questa, – aggiunse Sara, sorridendo.
Con un ritardo di un’ora, avevamo raggiunto la basilica di Superga. Rimasi a guardarla come non avevo mai fatto tutte le volte che l’avevo raggiunta con la tranvia. Sembravo una pellegrina che contemplava la basilica di San Pietro dopo aver compiuto un lungo viaggio. Mi sentivo forte e pronta a compiere lo stesso tragitto già il giorno dopo, quasi dimenticandomi delle difficoltà che avevo affrontato. Anche Giorgio osservava immobile: il suo pessimismo era stato schiacciato dall’imponenza del maestoso edificio e un sentimento di soddisfazione gli brillava negli occhi. Intanto Sara si era seduta poco più lontana da noi su una panchina che dava le spalle alla grande costruzione. Sembrava completamente impassibile alla vista della basilica, forse perché le pesava il fatto che non fossimo arrivati in tempo. Era una regola anche quella, ma piuttosto contraddittoria, perché non teneva conto delle capacità di tutti e nemmeno degli imprevisti. Alice, accanto a lei, stava recuperando le energie mangiando un panino. La stanchezza l’aveva vinta e nulla avrebbe potuto attirare la sua attenzione in quel momento.
Ci scattammo alcune foto prima di ripartire. Riguardandole poco dopo, ci accorgemmo che avevamo tutti gli occhi leggermente chiusi per il sole che ci batteva sul viso. Eravamo però tutti sorridenti e, pensandoci adesso, mi rendo conto che quello è stato l’ultimo momento che abbiamo condiviso felicemente insieme. Infatti, io e Giorgio e altri nostri nuovi amici abbiamo ripercorso diverse altre volte il sentiero verso Superga, ma Sara e Alice abbiamo smesso addirittura di vederle: la prima è troppo impegnata ad affrontare sfide secondo lei più difficili; la seconda invece, che non viene più tormentata dalla zia da quando le ha raccontato del cammino percorso, raramente esce di casa.