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I libri e le loro storie sono un’esperienza. Un’esperienza che , in qualsiasi circostanza, ti dona il piacere di conoscere a 360 gradi anche le realtà più fantastiche che ci siano e che ti fa il favore di portarti a riflettere ,di farti sviluppare un pensiero critico; ma allo stesso tempo chi legge e chi scrive sviluppa dentro di sé una certa sensibilità, una sensibilità talmente particolare che solo tra scrittori e lettori si riesce a riconoscere.
Quando leggi non vedi più la realtà con gli occhi originali, ma la osservi attraverso gli occhiali del lettore che forse possiedono anche delle lenti multicolore; un po’ come quando Gordie tra le sue righe parlava della sua magnifica immaginazione che, però, può anche non esserlo più di tanto quando davanti ad una cosa già triste e paurosa di per sé ne aumenta l’angoscia…
Allora, adesso, io nel momento in cui vedrò una casa sull’albero, delle sanguisughe o dei binari non potrò mai far finta di niente ritenendo che siano semplici creazioni antropiche o naturali, ma il mio cervello tornerà inevitabilmente in quel libro, tra quelle righe e farò un cenno di sorriso immaginando quel gruppo di amici che un giorno si stava divertendo banalmente e l’altro, invece, stava camminando kilometri su kilometri, assetato e affamato, dopo aver colto l’occasione di poter cambiare la propria “routine” ,sfuggire dai quei “pesi” personali e diventare dei “grandi” scommettendo di finire, per di più, sui giornali… E io questo loro “iter” l’ho visto come una pura fuga da un luogo troppo chiuso per animi così grandi come i loro, animi di ragazzi che non ce la fanno più a sottostare, ma hanno voglia di cambiare, di divertirsi, di scoprire, di evadere da una dimensione “noiosa” in cerca di altro, non saprei cosa precisamente, ma lo farei anche io, basta che sia “altro”. Quindi, penso che il senso, il motivo non stia nel cadavere in sé, quella è una decisione dell’autore che ti incuriosisce sì (chissà quanti, senza immaginare ancora cosa davvero voglia dire ,vorrebbero partire con i propri amici in cerca di un cadavere), ma poco rilevante rispetto alla decisione di smentire l’apparente “ingenuità” dei bambini e sfidare la “consapevolezza” o la “maturità” degli adulti…
Tutt’al più ,forse per me, il motivo sta nell’amicizia. L’amicizia che ha implicato l’intera storia. L’amicizia da cui è partita l’intera storia. L’amicizia che ci ha fatto ridere, spaventare e che ci ha fatto pensare ancora una volta a noi ed al nostro gruppo di amici nella loro stessa situazione. L’amicizia che pensiamo di non voler e poter perdere mai, ma quando poi in mezzo ci si mette qualcos’altro di inevitabile possiamo dire addio al nostro sogno beato e sereno smettendo forse di sperare.
Penso che per molti di noi che hanno letto la Storia la frase che citeremo nei nostri temi a scuola o in altre circostanze e che ci è rimasta come se l’avessimo formulata e pensata per primi noi è “le cose più importanti sono le più difficili da dire, perché le parole le sminuiscono[…]”. Cosa c’è di più vero di questo? A volte le parole non fanno giustizia… Ma quando leggi una storia , quale “Il corpo”, ti sembra invece che tutte le parole di Gordie siano riuscite in un certo qual modo a dire grandi cose, a dire “le cose importanti”. Lo sappiamo tutti che dopo che vivi qualcosa di troppo grande rispetto all’apparenza, che ti cambia da così a così, non puoi fare altre che pensare e ripensare ogni giorno a ciò fin quando poi non hai pure voglia, non senti il bisogno di raccontarlo, proprio come ha fatto il nostro Gordie, ma avendo allo stesso tempo paura di non riuscire davvero a rendergli giustizia nonostante le numerose frasi che si impegnano a farlo, tuttavia ci provi perché è quello che ha svoltato la tua vita, è ciò che ti ha reso quello che sei oggi e per questo ogni tanto per ricordarti chi sei e chiederti chi invece saresti stato se non ti fosse capitata una tale cosa, hai bisogno di rifugiarti nei meandri della tua mente, in quella storia, in quella vicenda che forse, in relazione al tuo presente, è ai tuo occhi una sorta di Eden sperduto di cui ne sei nostalgico..
Dunque, è proprio vero che Stephen King è un “mago”…