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Quanto può aver influito sulle vite dei ragazzi un’esperienza così traumatica? Cosa, o chi, li ha spinti a intraprendere questa avventura estrema? Una volta tornati a casa, saranno ancora gli stessi?
Queste sono alcune delle numerosissime domande che mi sono posta durante la lettura del romanzo Il corpo di Stephen King. Questo libro mi ha segnato profondamente: non racconta soltanto la storia di quattro ragazzi alla ricerca di un cadavere, ma narra un viaggio di crescita, un percorso emotivo, un cammino al quale nessuno può sottrarsi. I protagonisti stanno attraversando un momento molto fragile della vita, quello in cui si comincia a lasciare alle spalle l’infanzia senza essere ancora adulti. Mi sono riconosciuta in moltissimi dettagli: le amicizie intense, la paura di crescere, il desiderio di non cedere alle logiche di sopraffazione degli adulti. Quando i quattro ragazzi si addentrano nel bosco, ho avvertito che stavano compiendo qualcosa di più grande di loro: stavano accettando che la vita non è come nei racconti d’avventura e che non sempre esiste una ricompensa per le sfide affrontate. Ciò che mi ha colpito di più è stato il tono malinconico che accompagna tutta la storia, lasciandomi addosso una sensazione di nostalgia che svaniva solo dopo aver chiuso il libro. Anche nei momenti della giornata in cui non leggevo, continuavo a riflettere su quanto cambiamo senza accorgercene, su quanto sia importante dar voce ai nostri pensieri, anche quelli più nascosti, e su quanto certe persone e certi momenti abbiano influito radicalmente sulla mia vita, anche se magari oggi non ne fanno più parte. Consiglio questo libro a chi sente nostalgia dei giorni perduti, a chi ricorda l’amicizia pura e il coraggio acerbo e ingenuo dell’adolescenza, a chi sa che crescere significa anche imparare a dire addio. Questo libro è per chi vuole ritrovare, almeno per un istante, la ragazza o il ragazzo che è stato.