Cronache, Internazionale Ferrara 2024

Se non difendiamo il diritto internazionale oggi, cosa ne sarà di noi?


Nora Berveglieri, Marta Ossi

Liceo Ludovico Ariosto - Ferrara

“Gaza è sotto occupazione da più di sessant’anni e sotto assedio da più di sedici, per cui i Palestinesi non sono disumanizzati solo dal 7 ottobre 2023, bensì dal 1948”. Queste parole, che racchiudono il significato dell’incontro “Gaza”, sono state pronunciate da Ruba Salih, docente di antropologia presso l’Università di Bologna, intervistata, insieme alle altre ospiti Youmna El Sayed e Malak Mattar, dalla giornalista Francesca Gnetti il 4 ottobre presso il Teatro Comunale di Ferrara, in occasione del Festival di Internazionale 2024.

El Sayed, giornalista egiziana e palestinese d’adozione, si è trasferita insieme ai figli nella Striscia per ricongiungersi con il marito, impossibilitato a lasciare il Paese. Oltre a essere una madre, è stata una reporter in prima linea durante i primi mesi dell’offensiva di Hamas. Basandosi sulla propria esperienza, descrive come i giornalisti palestinesi siano bersagli per Israele: ne sono un chiaro esempio i continui bombardamenti ai loro uffici e in seguito alle abitazioni, con l’obiettivo di uccidere i loro famigliari.

Racconta poi che le condizioni sanitarie sono critiche, specialmente per le donne: “Io stessa ho sentito in ospedale le grida delle donne che davano alla luce i loro figli senza anestesia, per poi tornare alle tende con i loro neonati, sole e abbandonate a loro stesse, umiliate”. Altre addirittura sono costrette ad assumere farmaci per posticipare il ciclo mestruale. Come spiega in seguito Salih, le donne a Gaza hanno un ruolo estremamente politico, devono occuparsi dell’ordine della casa e della famiglia quando, all’esterno della sfera domestica, di ordine non ce n’è.

Un altro tema approfondito da Mattar, in quanto artista, è la distruzione del patrimonio culturale, che è nel mirino di ogni guerra. A Gaza essere un intellettuale è estremamente complicato poiché è proibito esercitare attività culturali. Mattar racconta di aver conosciuto artisti che sono stati uccisi e come l’arte sia diventata fondamentale per superare il trauma della guerra. Nel 2016 il Bristol Palestine Museum le ha offerto la possibilità di esporre le sue opere in una mostra, ma non ha potuto recarvisi poiché il regime non consente di lasciare il Paese. Lei stessa ricorda tristemente che le sue opere sono più libere di lei.

L’antropologa Salih chiude l’incontro con un messaggio di speranza: il futuro è nelle mani dei giovani, i quali, attraverso i movimenti studenteschi e le occupazioni delle università e delle piazze, possono far aprire gli occhi al mondo sulla gravità della situazione. Chiede, quindi, a noi tutti di riflettere sulla capacità e il coraggio di investire nel futuro, affermando che, con il suo sacrificio, Gaza sta liberando anche noi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *