Nel Caffè letterario in padiglione Oval il presidente del Circolo dei lettori, nonchè del Salone del Libro srl, Giulio Biino ha introdotto l’incontro in cui lo scrittore partenopeo Maurizio de Giovanni ha presentato il suo ultimo libro intitolato “Robinfood“, una storia d’amore contenuta in un romanzo che ha come filo conduttore il cibo. Infatti, Oscar Farinetti, famoso imprenditore del settore gastronomico, padre di Eataly e ideatore del movimento Sloowfood, che era presente per dialogare sul ruolo del cibo e sull’importanza del mangiare “consapevole”, ha esordito tessendo un elogio della napoletanità che come poche altre culture culinarie sa, a suo dire, intrepretare la gioia della convivialità attorno a una tavola imbandita di golose leccornie. Cucinare è un vero e proprio atto d’amore secondo de Giovanni: egli ricorda come modello di questa affermazione sua mamma che così naturalmente preparava le ricette tipiche napoletane non solo per riempire la pancia dei suoi familiari, ma per nutrire metaforicamente d’affetto le persone a lei care.
L’autore ha scelto di scrivere il libro e di intitolarlo così, preso da un “motto vendicativo” -dice ironicamente- , al termine di un’esperienza in un ristorante di alto livello della sua città, in cui un piatto di pasta che sul menù veniva chiamato “Il due” in memoria delle sue radici povere, visto che due erano i soldi che servivano per comprarselo, veniva rivisitato in chiave minimalista, in un’ottica che toglieva quell’abbondanza che caratterizza la veracità della cucina popolare. Robinfood è appello di chi, come l’autore, il cibo si limita a mangiarlo, e forse a raccontarlo, ed è quindi letteralmente “alla fine della catena alimentare”; è la voglia di riscoprire la genuinità della semplicità e dell’abbondanza in un’epoca che vuole mettere al bando ingredienti fondamentali della cucina povera, come strutto e burro, ragionando da una prospettiva salutista, a volte troppo radicale. È sempre la dose che fa il veleno.
Nel libro de Giovanni rende omaggio alla cucina della sua Terra con una dozzina di ricette di quelle che quando le fai, “lo sa tutti il vicinato”, come la salsa alla genovese con i suoi 1,5 kg di cipolle per sei persone o l’intramontabile parmigiana in cui le melanzane e le foglioline di basilico non sono ingredienti, ma il modo per pulirsi la coscienza, senza contare il ragù che deve “pippiare”, cioè sobbollire sul fuoco lento per non meno di sei ore.