Il punto di vista ci è sembrato un buon argomento apripista per il primo incontro a Torino. Sì perché quello che mi ha colpito davvero di questo straordinario gruppo di ragazze e ragazzi è stata la varietà assoluta. Di età, di paesi di provenienza, e, alla fine, di sguardi. Punto di vista come strumento di narrazione nei romanzi, nelle serie TV, ma anche nelle canzoni e nei videogiochi. Ma, spontaneamente, i ragazzi hanno parlato anche delle loro storie – di migrazione, di famiglia, di amicizia – e hanno provato a indossare i panni scomodi delle persone con cui sono entrati in conflitto, con capacità e coraggio di mettersi in gioco. Ho imparato da loro.
Quando ci siamo rivisti abbiamo parlato di eroi? Chi è l’eroe per te? Che cosa fa di un eroe un eroe? E lì sono comparsi personaggi storici come Mandela, politici che hanno lottato contro il narcotraffico. Abbiamo smontato le trappole e i doppi fondi delle imperfezioni degli eroi che la Storia e la cronaca ci hanno proposto. Abbiamo capito che è una parola sfuggente che ognuno vede a modo proprio. Con la maschera di Batman abbiamo giocato a riflettere sulla differenza tra giustizia e vendetta. Qualcuno ha guardato più vicino a sé e ha proposto il proprio padre come eroe autentico perché quello che fa un genitore ogni giorno rappresenta un esempio fondamentale, anche se meno appariscente, un sacrificio silenzioso che dura nel tempo.
Il mio romanzo “Senza dirlo a nessuno” è stato un viaggio nel viaggio, un’occasione per confrontarci su lealtà e tradimento e sul significato profondo dell’amicizia.
Cos’altro mi rimane addosso? Il senso di una comunità che fa un cammino insieme, che preferisce concentrarsi su quello che accumuna più che su quello che divide. E la capacità di ridere insieme, o almeno di sorridere. “Ridere è una cosa complicata” dice Manish, il protagonista sedicenne del mio romanzo: con i ragazzi in classe abbiamo provato a capire perché ma un po’ abbiamo provato a farlo.