“Il settore della cura: un settore così universale ma così invisibile” si apre così l’evento “Il lavoro che fa girare il mondo” al Ridotto Comunale il 30 settembre per il Festival di Internazionale: hanno dialogato la professoressa universitaria Caterina Botti, la direttrice delle risorse umane Barbara Lambertini e la sociologa Sabrina Marchetti, con la moderatrice Donata Columbro.
Durante l’incontro è stato affrontato il tema del divario di genere nel settore lavorativo delle cure. Nell’opinione comune, il bisogno di cure è considerato necessario solo per determinate categorie di persone che sono più vulnerabili, come anziani, neonati o persone malate, mentre invece la cura è necessaria per tutti: non esiste essere umano che non necessiti di qualcuno che si preoccupi di lui. L’uomo infatti sopravvive soltanto se si prende cura degli altri oltre che di se stesso, instaurando così un rapporto di interdipendenza personale, e questo succederebbe se si iniziasse a dare maggior valore a questa attività e se si iniziasse a prendere esempio da chi già svolge lavori in questo ambito, come insegnanti o badanti.
Con cura si intende non solo quella del corpo, bensì anche la cura dell’ambiente in cui viviamo e ci muoviamo, che influenza anche il nostro modo di pensare e di agire. Quindi bisogna preoccuparsi dei rapporti con gli altri: senz’alcuna cura infatti il mondo non potrebbe andare avanti.
Il settore della cura, sottopagato e considerato poco dignitoso, è poco ambito.
Nonostante ciò, è un’attività indispensabile per l’essere umano e, a causa di stereotipi di genere, il 78% dei lavoratori in questo sono donne. Alcune ricerche dimostrano inoltre che quando una donna ha dei figli è più propensa a svolgere lavori part time, a differenza degli uomini, che si sentono in dovere di mantenere la famiglia, nonostante sia un dovere che spetta ad entrambi.
Le relatrici concludono l’incontro invitando le istituzioni a preoccuparsi di legittimare il settore della cura, proteggendo e riconoscendo i diritti ai lavoratori, affinché le persone siano portate a scegliere questi mestieri non per stereotipi o per necessità di trovare un impiego, ma semplicemente perché se ne sente l’inclinazione.