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Una cosa che ti ha colpito
Una delle cose che abbiamo apprezzato maggiormente del libro è il metodo narrativo adoperato da Tabucchi: i personaggi non sono frutto dell’autore, ma piuttosto si manifestano a lui, richiedendo di essere tradotti dall’ambito della creatività immaginativa a quello della realtà concreta, dove interagiscono con i lettori in modo tangibile, pur non essendo entità fisiche.
Il personaggio di Pereira ci è piaciuto molto per la storia della sua evoluzione: l’emergere di un nuovo “io egemone” fa in modo che egli non si volti più da un’altra parte di fronte ai problemi del suo Paese pretendendo di non vedere, ma inizi ad agire in difesa dei propri ideali.
Sostiene Pereira ci ha colpito anche perché, oltre alla lotta graduale dell’uomo che passa dall’alienazione amorfa al colore della vita, mostra quanto siano importanti gli intellettuali e quale debba esser il loro ruolo nel promuovere rivoluzioni per la libertà.
Un’altra cosa che ti ha colpito
Ciò che abbiamo apprezzato di più di Sostiene Pereira è la magnifica nascita di un personaggio che si oppone ad ogni etica, ma rispecchia ogni lettore con la sua mitezza e la sua inadeguatezza.
Ci ha colpito un gesto ripetuto da Pereira: raccogliere gli inutilizzabili necrologi di Monteiro Rossi in una cartellina. Avrebbe potuto buttarli. Invece li conserva, quasi rappresentino quelle che nel tennis vengono chiamate “ancore mentali”, ancore che gli permettono di non disperdersi di nuovo nella morte.
Una frase del libro da conservare
«…e poi senti, ti dico una cosa, io insegno letteratura e di letteratura me ne intendo, sto facendo un’edizione critica dei nostri trovatori, le canzoni d’amico, non so se te ne ricordi all’università, ebbene, i giovani partivano per la guerra e le donne restavano a casa a piangere, e i trovatori raccoglievano i loro lamenti, comandava il re, capisci?…» Terribili sono i signori della guerra, i bruti comandanti, i tangheri che mettono a soqquadro le case ed uccidono, gli zero che seguono l’uno, certo. Ma ancora più terribili sono, a mio avviso, gli scienziati dietro al Manifesto della Razza o alle distinzioni razziali in Ruanda; gli scrittori che, pur di cavalcare l’onda d’oro o anche solo di sopravvivere, diventano braccio destro dell’oscurantismo, strumentalizzano la poesia, l’arte, l’emozione per uccidere la poesia, l’arte, la passione di un Monteiro Rossi che vuole vivere, vuole sentire e vuole cantare. Non furono uomini, ma sono loro gli sterpi; loro sono i violenti contro l’arte.
«Il ritratto di sua moglie gli sorrise con un sorriso lontano e Pereira credette di capire». Pereira spesso si nasconde e non agisce come il suo istinto gli direbbe di fare. Paura nei confronti del regime o comportamento innato che lo spinge a nascondersi dietro ad una falsa verità? Solo la moglie, o meglio un suo ritratto, è in grado di far emergere un Pereira senza filtri. Rimane un sorriso profondo.
«Mi scusi signor direttore, rispose con compunzione Pereira, ma senta, le voglio dire una cosa, noi in origine eravamo lusitani, poi abbiamo avuto i romani e i celti, poi abbiamo avuto gli arabi, che razza possiamo celebrare noi portoghesi?». Eccola l’insensatezza del concetto di razza.
«Oh, non ti preoccupare, replicò Silva, qui non siamo in Europa, siamo in Portogallo». Forte è il contrasto che si trova all’interno di questa frase. Patriottismo, ricordi e nostalgia hanno reso ciechi i due personaggi a tal punto da non riconoscere la necessità di esprimere sé stessi e le loro opinioni.
«Capisco, replicò la signora Delgado, ma forse tutto si può fare, basta averne la volontà». Pereira vede messa in discussione tutta la sua vita. All’intellettuale politicamente disimpegnato viene svelata la colpevolezza dell’assistere a un’ingiustizia senza far nulla per cambiare le cose. Basterà un incontro con due giovani, forse un po’ troppo sventati ma con un grande coraggio, perché l’anima determinata e ribelle di Pereira assuma il controllo e permetta all’uomo più pauroso e titubante di denunciare apertamente un regime dittatoriale, senza alcuna esitazione.
«Pereira sostiene che gli venne un’idea folle, ma forse poteva metterla in pratica, pensò». Fulcro dell’intero libro: Pereira diventa protagonista della propria vita e non più solo spettatore.… Pereira ha finalmente trovato il coraggio di farsi guidare dal suo nuovo io egemone.
«Il problema è che il mondo è un problema e certo non saremo noi a risolverlo, avrebbe voluto dire Pereira». L’indifferenza di Pereira non è diversa da quella che si rivela in un’Italia caratterizzata dall’astensionismo dal voto.
«Si mise a pensare alla sua vita, ma di questo non ha voglia di parlare, sostiene».
«[…] io non mi sento colpevole di niente di speciale, eppure ho desiderio di pentirmi, sento nostalgia del pentimento». In poche righe Tabucchi spiega la saudade sia in relazione al tempo passato, poiché il protagonista dice espressamente che vorrebbe pentirsi di colpe inesistenti avvenute nel passato, sia in relazione al tempo futuro, al triste finale segnato dalla morte di Monteiro Rossi.
«Ma anche se pensò così non si sentì rassicurato, sentì invece una grande nostalgia, di cosa non sa dirlo, ma era una grande nostalgia di una vita passata e di una vita futura, sostiene Pereira». La “saudade” è la nostalgia che deriva dalla consapevolezza di non poter più vivere la vita immaginata. Pereira ricorda e sogna un passato e prova nostalgia per un futuro che avrebbe voluto fosse come se lo era immaginato, con la donna che ha sempre amato al suo fianco e un figlio di cui prendersi cura insegnandogli i valori della vita… Sostiene Pereira: il libro di un uomo che è rinato.
La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro.
Se questo libro fosse una canzone
“Lisboa Não Sejas Francesa” di Alberto Ribeiro e João Nobre (1933). Classico della musica portoghese, che celebra l’identità e la cultura della città di Lisbona. Il testo invita Lisbona a non diventare “francese”, cioè a mantenere le proprie identità e tradizioni, e richiama alla mente l’orgoglio e l’amore per la propria terra. Il titolo significa proprio “Lisbona non essere francese”. Forse Daudet non avrebbe condiviso!
“Fado do Estudante” di Alfredo Merceneiro (1937). Il fado, il genere musicale tradizionale portoghese, esprime sentimenti di malinconia e nostalgia. Il testo parla di un giovane studente che vive a Lisbona e che si sente solo e nostalgico per la sua terra d’origine. La canzone esprime l’idea che Lisbona, con la sua bellezza e la sua cultura, possa essere un rifugio per coloro che si sentono soli o persi nella vita.
“Recordações da Minha Vida” di Carlos Ramos (1938). In musica la nostalgia di un uomo per i tempi passati e per la sua giovinezza. Il testo evoca i ricordi delle prime esperienze a Lisbona, ma anche la tristezza e la solitudine che si sente ora che tutto è cambiato.
… e per la nostra prof “se questo libro fosse una canzone” sarebbe un valzer in fa, come quello ballato da Marta e Pereira… come quello ballato dai nostri compagni durante la lettura ad alta voce in classe!
Se ti è piaciuto il libro, leggi o guarda anche
“Fahrenheit 451” di Ray Bradbury: sebbene ambientato in una realtà distopica e alternativa, Fahrenheit 451 ritrae una società in cui leggere o possedere libri è assolutamente proibito; chiara è l’analogia con l’oscurantismo culturale che vige durante tutti i totalitarismi, e, in particolare, col totalitarismo di Salazar, che il nostro Pereira gradualmente impara a contrastare.
“Sostiene Pereira” di Roberto Faenza (1995)
“La vita è bella” di Roberto Benigni (1997): anche se la trama è diversa e il film si svolge in un contesto storico diverso (la Seconda guerra mondiale), entrambe le narrazioni affrontano temi simili come la lotta contro un regime autoritario e l’importanza della libertà di espressione. Entrambi presentano anche protagonisti che cercano di proteggere le persone a loro care in tempi e situazioni così difficili.
L’abbiamo conosciuto Pereira, prima ancora che Tabucchi ce lo presentasse. Seduti alle Gallerie d’Italia di Torino ascoltavamo Paolo Di Paolo che ci parlava di quando a Lisbona aveva percorso le stesse strade di Pereira, simulando il suo passo da obeso ed asmatico. In particolare ci raccontava di come, per salire verso Rua de Saudade, suo domicilio, Pereira non camminasse con lo sguardo verso il mare, cristallino, più in fondo, ma in salita, in una fatica e sudore costanti verso il castello di San Giorgio. Pochi passi per capire quanto sfiancante fosse la salita, quanto lenta ed inerte e dolorosa per Pereira, simbolo della sua apatia, della stanchezza di vivere; una salita con alle spalle il mare, che rimane perciò lontano e invisibile. Non è un caso: alle spalle, invisibile, proprio quel mare scintillante e vivido, che è simbolo della vita vibrante.
L’abbiamo atteso, il momento in cui in classe aprire il libro e leggerlo ad alta voce, regalandoci le nostre espressioni, i differenti toni di voce in una staffetta di lettura in cui il testimone da passare erano parole su di noi. Siamo noi quelli chiamati a «frequentare il futuro», a riconoscere che «non c’è tempo da perdere». Abbiamo un potere sulla vita, c’è ancora tempo da investire, tempo non da difendere e conservare capillarmente fino alla venuta della morte, ma da consumare in modo proficuo ed attivo, per costruire qualcosa di significativo.
L’abbiamo incontrato Pereira. A ciascuno ha lasciato impronte sull’anima differenti. Ecco un piccolo assaggio delle nostre riflessioni. Non impiegherete molto tempo a leggerle.
Il tempo di bere una limonata. Possibilmente senza zucchero.