Nel quarto giorno del festival dedicato a Maylis de Kerangal, nella Sala Grande del Cinemazero di Pordenone, è avvenuta la proiezione del film “Riparare i viventi”, realizzato nel 2016 e diretto da Katell Quillévéré, tratto dall’omonimo romanzo della protagonista dell’edizione di quest’anno.
Mentre fanno ritorno a casa, tre giovani surfisti fanno un incidente stradale. Il diciannovenne Simon Limbres entra in un coma irreversibile e, dichiarata la morte cerebrale, si profila la possibilità della donazione degli organi. La vicenda segue il processo decisionale dei genitori, l’intervento dell’equipe medica e la rinascita della donna che riceverà il cuore. Il romanzo non è semplicemente la storia di un “trapianto” che ha come protagonista due corpi, bensì le vite che ci orbitano intorno, quella perduta del donatore, quelle spezzate dei familiari, quelle quotidiane dei medici e quella “riparata” della ricevente.
La visione è stata preceduta da una breve discussione con l’autrice, mediata dallo scrittore Paolo di Paolo. Presenti in sala anche Marina Astrologo, interprete e traduttrice, e Claudio Cattaruzza, direttore artistico di Dedica Festival.
Il legame tra l’autrice e la cinematografia, anche italiana, è rintracciabile già nei suoi romanzi “Lampedusa”, in cui viene evocato il regista Luchino Visconti e “Il Gattopardo”, e “Un mondo a portata di mano”, nel quale la pittrice protagonista ha l’occasione di collaborare alla scenografia del film di Nanni Moretti “Habemus Papam”. Maylis de Kerangal afferma, in effetti, che il suo processo creativo è sempre accompagnato dal cinema, che risiede nella sua “testa e nelle dita” e che rappresenta per lei ispirazione e arte di movimento. L’autrice autodefinisce la sua scrittura come “scrittura cinepresa”, nella quale il cinema prende vita nel romanzo.
L’intervista si è poi spostata sul particolare processo di trasposizione cinematografica di un’opera letteraria. Maylis de Kerangal chiarisce subito la sua posizione, affermando che letteratura e cinema sono due forme d’arte diverse e riconosce a quale delle due appartiene. Dopo aver tentato di collaborare in prima linea alla scrittura di una sceneggiatura ispirata a un suo libro, ha realizzato di “aver giocato la sua partita” e di dover “lasciare andare” il suo romanzo ad un altro linguaggio artistico con altre regole. Questo distacco coinvolge allo stesso modo anche i lettori, qualora dei personaggi immaginari, che la nostra mente plasma a proprio piacimento, devono essere trasposti sul piano reale. La scrittrice ha confessato di essersi sentita piuttosto turbata dalla scelta del cast poiché l’alone di mistero, che circonda i volti dei personaggi nella letteratura, è scomparso nel cinema attraverso un’operazione che definisce “violenta e affascinante”: la loro incarnazione.
L’unico aspetto su cui l’autrice non può scendere a compromessi è il cosiddetto “cuore
pulsante” del suo romanzo, che deve essere trasmesso, e che costituisce il solo punto di contatto tra libro e film.
Nonostante la difficoltà di adattare una scrittura come quella della De Kerangal, che si concentra sull’analisi delle voci interiori dei suoi personaggi e che possiede di conseguenza una sua potenza e una sua riconoscibilità, il film è riuscito a mantenere e trasmettere quel “cuore pulsante” indispensabile per l’autrice.