Oggi viviamo in una realtà, in cui porsi le domande del tipo “Come spiegare la guerra ai bambini?” è comune. Francesca Mannocchi, giornalista di guerra, ha provato a rispondere a questa domanda nel suo libro Lo sguardo oltre il confine, De Agostini, 2022 e durante la sua presentazione presso Biblioteca Casa Niccolini, dove ha spiegato ai bambini i temi trattati nel libro.
Come si diventa giornalisti? Mannocchi racconta che si inizia con la curiosità. A causa della sua professione infatti non smette mai di studiare, focalizzandosi sui cambiamenti del mondo. Da bambina, la futura giornalista viveva in periferia di Roma, “bruttina, un po’ complicata”, dove la prima cosa che ha imparato è stata la diseguaglianza vedendo le differenze con il “quartiere bello”, dove frequentava la scuola. Da quel momento ha saputo di voler raccontare dell’ingiustizia.
Durante gli anni universitari, Mannocchi ha avuto la fortuna di lavorare come reporter per piccole televisioni, imparando così ha imparato molti elementi di metodo, che ha utilizzato in seguito.
Lo sguardo oltre il confine narra di alcuni paesi in guerra, tra cui Iraq, Libano, Afghanistan, Libia, Siria, e l’Ucraina. Andando in un paese in guerra, bisogna lasciare i pregiudizi da parte: infatti se si vuole raccontare una storia facile, “i cattivi” si possono trovare dappertutto, ma nella maggior parte dei casi la realtà o ci smentisce, o si presenta in un modo che ci obbliga a cambiare le nostre impressioni iniziali. Ad esempio l‘esperienza in Libano le ha fatto capire che le categorie di giudizio applicate da noi quotidianamente, in queste realtà non valgono.
Il desiderio di prendere una posizione è forte, non si resta mai neutrali, ma la caratteristica essenziale del lavoro della Mannocchi è di essere rigorosa nei confronti delle esperienze di cui è testimone. “Noi non dobbiamo cambiare i fenomeni, – dichiara la giornalista – li dobbiamo raccontare. La democrazia sana funziona così.”
Come scegliere cosa raccontare e cosa no? Mannocchi risponde raccontando di alcune delle sue esperienze, fra le quali ricorda quella in Libano nel 2015. Il Paese ospitava allora due milioni di rifugiati di cui un milione e mezzo erano rifugiati siriani, gli altri erano palestinesi; per invitarli ad andarsene, le autorità libanesi non hanno mai fatto costruire veri e propri campi profughi, costringendo i migranti a vivere in “insediamenti di tende”. Con “un atto di grande virtù”, l’Italia ha organizzato il primo corridoio umanitario per i profughi siriani, e Mannocchi ha raccolto alcune delle loro storie. La paura della bomba presente nelle loro testimonianze è un elemento difficile da spiegare, ma obbligatorio da raccontare. È un sentimento complicato da evocare se non se ne hanno memoria o esperienza. “Come la racconteresti”, ha chiesto ad una ragazzina, “a qualcuno che non l’ha mai provato?” La ragazza ha risposto che essendo “al sicuro”, aveva il tempo di preparare la valigia, cosa che non aveva potuto fare quando era fuggita dalla guerra. “Per voi il rumore della bomba non c’è. Io scrivo per trasmettere quell’angoscia lì – ha dichiarato la giornalista -. Immaginate di dover prendere solo un oggetto, ma avete trenta secondi per decidere e la vostra camerette probabilmente non la vedrete più.”
Secondo Mannocchi, la situazione di guerra si capisce meglio nella zona del Donbass, territorio di confine tra la Russia e l’Ucraina, dove le persone con diverse opinioni politiche sono abituate a convivere, e in moltissimi casi parlano la stessa lingua. Si osserva come possano vivere insieme persone che sono vicine e lontanissime allo stesso tempo.
Uno degli effetti della guerra di cui parla la giornalista è il cambiamento delle personalità delle vittime: la guerra rende estremiste le persone miti, rende violente le anime quiete. Dobbiamo pensare a cosa succeda ad un’anima mite nella zona di conflitto, a cosa succeda ai bambini che vedono la famiglia dividersi in due parti. Dobbiamo chiederci come diventeranno gli uomini che da bambini hanno traumi di questo genere.
Il fatto che provoca più dolore alla giornalista riguarda il modo in cui le persone vivono questa realtà: i bambini sono capaci di adattarsi molto facilmente alla privazione, e sembra che lo facciano per dare sollievo ai propri genitori; le persone nelle zone del conflitto, riescono ad essere contente di quel poco che hanno e condividerlo con gli altri, diventando più solidali tra di loro.
Scrivere sul mondo di oggi rivolgendosi a un pubblico di bambini e ragazzi significa parlare con futuri cittadini. Le loro domande sono quelle a cui dobbiamo rispondere. Della guerra ai ragazzi si deve raccontare con una precisione ineccepibile.