Negli anni Settanta, San Salvario era un quartiere in bilico tra la sua antica eleganza borghese e una nuova realtà urbana in trasformazione. Sorto a sud del centro di Torino, ai margini della stazione di Porta Nuova, aveva già allora una doppia anima: da una parte le vie signorili che si affacciano su piazza Madama Cristina, frequentate da studenti universitari e da famiglie del ceto medio; dall’altra, la zona vicino alla stazione, dove convivevano immigrati provenienti dal Sud Italia e modesti lavoratori. Questa via che divide idealmente la piazza in due divenne una sorta di frontiera sociale.
Il quartiere aveva già da tempo un’identità multireligiosa: oltre al tempio valdese, la sinagoga di via San Pio V, costruita a fine Ottocento, che rappresentava un punto di riferimento per la comunità ebraica torinese, mentre la chiesa del Sacro Cuore di Maria, affacciata su piazza Donatello, restava un centro di culto e di ritrovo per i residenti cattolici.
A partire dagli anni Ottanta, però, il contesto sociale e culturale del quartiere cominciò a cambiare in modo radicale. Le famiglie benestanti iniziarono a spostarsi verso zone più tranquille e residenziali, lasciando spazi e appartamenti a basso costo che vennero occupati dai nuovi arrivati: non solo migranti dal Meridione, ma anche dall’Africa.
Le strade di San Salvario, un tempo considerate “tranquille”, si riempirono di bancarelle multietniche, negozietti gestiti da stranieri e locali in cui iniziarono a mescolarsi lingue, odori e suoni di culture diverse. Una stratificazione culturale che, se da un lato arricchiva il tessuto urbano, dall’altro generava tensioni e conflitti.
Negli anni Novanta, San Salvario venne spesso descritto come il “Bronx d’Italia”. Tuttavia, proprio in questo periodo, nacquero diverse ONLUS con l’intento di migliorare la vita dei residenti del quartiere.
Nel cuore di questo processo di rinascita si colloca la Casa del Quartiere, in via Morgari 14, in un edificio Liberty che un tempo ospitava i bagni pubblici. Negli anni Novanta divenne un laboratorio di convivenza e creatività: un luogo dove cittadini italiani e stranieri potevano incontrarsi, condividere idee, partecipare a laboratori, eventi culturali e attività sociali. Al suo interno sorse anche un ristorante gestito da persone di diverse nazionalità, simbolo concreto di una Torino che cambiava e cercava nuove forme di integrazione.
Il giardino davanti alla stazione e il parco del Valentino, un tempo percepiti come luoghi di passaggio, cominciarono a trasformarsi in spazi di ritrovo. Per molti migranti, il parco divenne un luogo di festa e di appartenenza, una nuova abitudine che consentiva agli abitanti di fare nuove esperienze e trascorrere del tempo in compagnia nelle domeniche di sole.
Ma se ora ha una dimensione multietnica, San Salvario aveva attratto già prima della guerra figure che sarebbero state molto legate alla cultura torinese. In particolare in via Morgari (allora via Pallamaglio) visse Natalia Ginzburg, scrittrice nata a Palermo ma profondamente legata a Torino, città della sua maturità intellettuale e del legame con la casa editrice Einaudi. Nei suoi romanzi, come Lessico familiare, la scrittrice fu in grado di descrivere le dinamiche urbane e domestiche, le trasformazioni di un ambiente che mutava insieme alla città stessa.
Così, tra piazza Madama Cristina, largo Saluzzo e via Morgari, San Salvario attraversò negli anni un profondo processo di trasformazione: da quartiere borghese a mosaico multiculturale, da zona degradata a laboratorio di convivenza. Le religioni, le culture e le storie personali, che si sono intrecciate nelle sue vie, hanno costruito una nuova dimensione sociale, complessa e viva.