Mentre la 5G sta lentamente scivolando in quella fase di dormiveglia tipica delle allegre quattro ore di italiano del giovedì, la prof sbatte le mani sulla cattedra per risvegliarci, ed esclama: “E secondo voi, la libertà cos’è?”
Che spavento! Prendo un lungo sorso di caffè e, tra uno sbadiglio e l’altro, penso che la libertà è l’estate, è sentirsi leggeri, è l’assenza di preoccupazioni, scadenze, compiti e lezioni. La libertà è senza regole.
Ecco, se in questo istante tra i banchi dell’aula 110 fosse seduto Pereira, sono sicura che sarebbe d’accordo con me. E se chiedete a lui la ricetta perfetta per affrontare i giovedì e le discussioni come queste, sono piuttosto certa che vi suggerirebbe:
- curiosità -> un pizzico
- stupore -> un cucchiaino
- diffidenza -> 2-3 kg, a piacere
E per quest’ultima voce, è sempre meglio abbondare, vi direbbe.
Insomma, non è vero che il mondo è sempre più bello quando lo guardiamo da lontano? Il cielo è ancora più blu, la brezza pare accarezzare gli alberi e non dà affatto fastidio, il sole fa mille giochi di luce per le strade di Lisbona, nel caso di Pereira, di Torino, nel mio.
C’è solo una finestra di mezzo. Una finestra che ci protegge da ogni soffio di vento un po’ più forte, ogni raggio di sole un po’ troppo caldo, da ogni responsabilità. Non ci sono dubbi, è meglio non fidarsi di chi dice che là fuori si sta bene, qua si sta meglio.
Sì, sono sicura, la diffidenza non è mai abbastanza, e io oggi ne metto ben 3 kg, e alla domanda della prof non rispondo. Continuo invece a sorseggiare il mio caffè e riprendo il racconto di Pereira, che di certo non potrà chiedermi nulla.
Ma ci pensa Monteiro Rossi a interrompere la piacevole monotonicitá della mia lettura e della vita di Pereira.
Sì perché, una volta sul pullman, con il libro di nuovo in mano, Monteiro conosce il protagonista, a cui già mi sono affezionata, e lo introduce alla stramba idea della responsabilità sociale.
Concetti paurosi come:
prendere posizione
alzare la voce
opporsi
bah.
Io non mi fido di questo Monteiro e del suo strambo mondo.
Ma se un po’ dà le vertigini, ha anche un certo fascino; e così Pereira comincia a chiedersi se la finestra sia proprio necessaria, se il mondo non è forse più bello vissuto senza filtri, e io con lui.
Piano piano abbandona le sue amate abitudini: la limonata e omelette, le lunghe conversazioni con il ritratto della moglie defunta, i noiosi necrologi. Scopre che aveva ragione, il mondo è più bello da dietro la finestra, lo sapevo! Infatti, la realtà vista da vicino non è affatto perfetta, anzi, fa paura da pazzi. Soprattutto durante la dittatura in cui vive Pereira. Ma sentirsi al sicuro non è nulla in confronto a sentirsi vivi.
Spalancare la finestra e saltare fuori richiede di guardare il mondo con gli occhi di chi vuole impegnarsi a cambiarlo. Per fare ciò, bisogna farsi piccoli e fragili e amare, avere paura, indignarsi, ascoltare il silenzio del dolore.
In questa fragilità sta la forza di Pereira e di ognuno di noi.
Che poi la scrittrice Chiara Valerio me l’ha detto, bisogna diffidare degli opposti: fortezza e fragilità, bello e brutto, grande e piccolo.
Essere forti vuol dire accettare di essere fragili, di non poter impedire il dolore, la paura, l’amore, ma di poterli attraversare e affrontare.
Pereira, mi hai proprio convinto: la libertà non è stare chiusi dietro alla finestra; la libertà è fuori, è responsabilità, e le regole ce le ha.
La libertà è forza, è fragilità.
È la possibilità di dire: io non guardo, io vivo!
E magari glielo dico questo alla prof il prossimo giovedì.