“La letteratura si affaccia su uno dei più profondi e oscuri abissi umani, che, tuttavia, spesso viene poco raccontato perché siamo abituati perlopiù a viverci dentro: la famiglia.”
In occasione dell’incontro tenutosi sabato 4 ottobre all’ex Teatro Verdi di Ferrara, Nadia Terranova, ospite di Internazionale, ha presentato il suo primo romanzo esplicitamente autobiografico, Quello che so di te (Guanda Editore, 2025). Il dialogo che l’autrice ha intrattenuto con Giuseppe Rizzo, giornalista della rivista organizzatrice del festival, ha toccato molti degli argomenti affrontati dalla Terranova nel suo libro, come la maternità, la cosiddetta “mitologia familiare” e il rapporto con la scrittura.
Un tema, tuttavia, è ricorso, nel libro e durante l’incontro, in modo più persistente degli altri: la pazzia.
“La pazzia nella mia famiglia ha un nome preciso, quello della mia bisnonna Venera”, ha raccontato Terranova. La presenza della follia nella mitologia familiare della scrittrice è riecheggiata in sala come un eco lontano ma persistente, riportando alla mente del pubblico il teatro eschileo dell’Atene del V secolo a.C.: l’isteria femminile, diagnosticata a Venera in un’epoca in cui ogni donna con una voce era considerata pazza, è il mìasma della storia, la malattia intrinseca alla famiglia di Nadia che continua a perseguitarne i componenti, generazione dopo generazione, figlia dopo figlia. L’autrice ha rivelato di aver usato la scrittura come strumento con cui dare voce alla “bizzarria” ereditata, raccontando la storia della sua bisnonna e il modo in cui essa si è riflessa nella propria vita. È infatti evidente il rapporto che lega i due personaggi principali della vicenda; la narrazione, d’altronde, si costruisce intorno alla necessità di Nadia di sviscerare la storia della propria famiglia e di indagare a fondo sulla misteriosa figura della bisnonna, che da sempre l’aveva attratta, così come sul periodo da lei vissuto come paziente del manicomio di Messina.
“Ho sentito la valanga di voci che volevano essere raccontate”, ha riferito l’autrice nel raccontare le ricerche svolte all’interno del manicomio stesso, quando ha potuto vedere i documenti di tutte le donne che erano state ingiustamente internate come la sua bisnonna. Nadia Terranova, dunque, non ha negato di essere stata tentata di dare un’altra direzione al suo libro, spinta dalla necessità di raccontare una pagina della storia buia e ancora poco conosciuta; in futuro, forse, potremo aspettarci da lei un nuovo racconto, che ci permetterà di fare luce sulle vicissitudini di molte donne per adesso ancora sconosciute.
Intanto, ci limiteremo a fare nostro il profondo messaggio di Quello che so di te: è necessario dare alle madri la possibilità di parlare, piangere, fallire e rialzarsi, lasciando a ognuna di loro il diritto di provare emozioni rumorosamente e senza giudizi.