“Ho voluto semplicemente dare voce a queste Donne che non potevano farlo da sole.” Queste le parole di Chadia Arab, geografa e ricercatrice, intervistata oggi 14 marzo da Annalisa Camilli, in occasione del Festival d’Internazionale Ferrara durante l’incontro “Le donne invisibili della migrazione stagionale”..
“Queste Donne” sono quelle che si ritrovano povere e con dei figli e che, per necessità, devono introdursi nel mondo dell’immigrazione circolare. Ma cos’è l’immigrazione circolare? Si tratta di un patto tra Spagna e Marocco, incluso in un programma dell’Unione Europea. L’obbiettivo è rispondere al fabbisogno di manodopera nei campi di fragole nel Sud della Spagna e combattere quindi l’immigrazione clandestina. Inizialmente, nel 2007, le Donne impiegate per questo lavoro nelle piantagioni erano bulgare e rumene, in seguito si passò alle madri marocchine povere. Questo perché era necessario che le Donne fossero disposte a tutto pur di lavorare e contribuire al sostegno della famiglia e fossero poi obbligate a tornare in Marocco a fine stagione dai figli; in più, erano scelte per le loro mani delicate in modo da non schiacciare e rovinare le fragole, frutti molto fragili.
A dare voce a queste Donne sono state per prime, nel 2018, alcune giornaliste che hanno dato risonanza mediatica a querele sporte da lavoratrici violentate dai loro datori di lavoro nelle piantagioni dell’Andalusia. In risposta a questo polverone massmediale si sono mobilitati, nei confronti di queste Donne, numerosi sindacati, associazioni femministe; è intervenuta anche la Ministra del Lavoro spagnola Yolanda Dìaz che, esponendosi a critiche dei suoi colleghi Ministri, ha richiesto controlli sulle condizioni di lavoro e sulla regolarità dei contratti delle braccianti. Da queste ricerche è emerso che le lavoratrici non possiedono una propria intimità; infatti, vivono in quindici all’interno di piccole case dove non possono avere conflitti poiché, al minimo segnale di opposizione alle regole, potrebbero essere licenziate. E’ stato riscontrato inoltre che anche le lavoratrici impegnate nelle piantagioni da ormai quattro stagioni non possiedono un contratto correttamente regolamentato.
Dopo questi controlli da parte delle autorità, molte di queste Donne si sono rifiutate, finito il periodo di lavoro, di ritornare in Marocco: volevano continuare a combattere la loro battaglia contro gli abusi subiti, denunciare i loro datori di lavoro e richiedere il rispetto e l’attuazione dei Diritti dei Lavoratori e dei Diritti umani.
Come sottolinea la relatrice, il fenomeno descritto all’apparenza sembra presentare solo aspetti negativi, ma la verità è che le Donne in questo modo riescono anche ad emanciparsi e ad ottenere un tenore di vita migliore. Iniziano quindi ad avere una vera e propria identità che non si ferma al solo essere Donne di famiglia e madri. Non avendo mai posseduto dei documenti per viaggiare e, di conseguenza per lavorare, necessitano infatti di una carta d’identità e di un passaporto; inoltre, portando dei soldi a casa diventano veri e propri “capifamiglia” e, raggiungendo una propria stabilità economica, hanno anche la possibilità di divorziare dal proprio marito, dopo essere state obbligate a sposarlo in gioventù a causa del loro rango sociale. Infine si assiste a un ribaltamento dei ruoli stereotipati di madre e padre che permane, oltre ogni previsione, anche nel momento in cui la Donna rientra all’interno del nucleo familiare. Questo perché, durante l’assenza della madre, il padre è obbligato a prendersi cura dei figli e a svolgere i lavori domestici.
In conclusione, questo incontro sottolinea quanto le donne siano disposte a mettersi in gioco per le loro famiglie e per raggiungere un migliore tenore di vita, anche se questo significa dover lasciare il proprio villaggio d’origine, la propria famiglia e dover andare, da sole, in un Paese straniero a lavorare in condizioni misere e con delle sconosciute.
WOMEN POWER!