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Il corpo 2025, Laboratorio, Un libro tante scuole

Un’estate per diventare grandi


Giorgia Rita Scardina

Istituto mario rapisardi - Licodia

Nome Scuola

Istituto mario rapisardi

Città Scuola

Licodia

C’è qualcosa in “Il corpo” che ti rimane incollato addosso anche quando chiudi il libro. Non per paura, non per suspense, ma per quella sensazione difficile da spiegare, come una nostalgia di qualcosa che non hai vissuto ma che senti di conoscere.

Stephen King lo ha scritto nel 1982, ma la storia è ambientata vent’anni prima, nel 1960. Quattro ragazzi – Gordie, Chris, Teddy e Vern – decidono di partire a piedi per cercare il cadavere di un loro coetaneo scomparso. Detta così sembra una trama da film horror o da romanzo d’avventura, ma in realtà è solo il punto di partenza per un viaggio molto più intimo, quello che ognuno fa, in un modo o nell’altro, quando smette di essere un bambino. Gordie è il narratore. Lo conosciamo sia a dodici anni che da adulto, quando ormai è uno scrittore affermato, ma con addosso ancora quella malinconia che si porta dietro chi ha perso qualcosa per strada. Non tanto una persona, quanto una parte di sé. Quello che più ho apprezzato di questo romanzo è che non cerca di stupire. Non ci sono colpi di scena, né finali a effetto. Tutto si gioca nei dettagli: uno sguardo, una frase sussurrata davanti a un fuoco acceso, il silenzio tra due battute. Chris, tra tutti, è il personaggio che mi ha lasciato il segno. È uno di quelli che il mondo etichetta subito: famiglia sbagliata, fratelli delinquenti, destino segnato. Ma lui no, lui è diverso. E lo dimostra nel modo in cui parla, nel modo in cui capisce Gordie, in quel suo continuo cercare un riscatto che nessuno gli vuole dare. La frase che dice a Gordie – “Hai qualcosa dentro di te, qualcosa di forte. E il mondo farà di tutto per spegnerlo” – mi ha colpita al punto che ho dovuto fermarmi a pensare. Perché è vero. E non vale solo per i personaggi dei libri. Lo stile di King qui è semplice, diretto, mai forzato. Non scrive per impressionare, ma per far sentire. È come se parlasse a bassa voce, ma ogni parola pesa. Il linguaggio è crudo, a volte sboccato, ma perfetto per rendere autentica l’età e l’epoca dei protagonisti. Sembra di camminare accanto a loro, di sentire il caldo, le zanzare, la paura. E soprattutto quel senso che tutto stia cambiando, anche se ancora non si sa bene come.

Una delle scene che più mi ha toccata è quella in cui Chris si apre davvero con Gordie. Nessun effetto speciale, nessun grande gesto. Solo due ragazzi che si raccontano a metà, perché dire tutto sarebbe troppo. In quel momento ho sentito qualcosa spezzarsi, in modo silenzioso ma definitivo. È lì che capisci che non torneranno più quelli di prima. E neanche tu, lettore, torni più lo stesso. “Andavamo a cercare un cadavere, ma trovammo molto di più.” È la frase che racchiude l’intero senso del romanzo. Il corpo che cercano non è solo quello di Ray Brower, è anche il loro: il corpo dell’infanzia che stanno lasciando andare, senza nemmeno accorgersene. E poi c’è quella frase che arriva alla fine e che ti stringe il cuore: “Non ho mai avuto amici come quelli che avevo a dodici anni. Dio, ma chi li ha?”: lì capisci che questo libro non parla solo di loro. Parla anche di te. Di me. Di tutti. Consiglio Il corpo a chiunque voglia leggere qualcosa che non sia solo una bella storia, ma un viaggio nella parte più fragile e vera di noi stessi.

È un romanzo che non urla, ma sussurra. E certe voci, si sa, fanno molto più rumore.

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