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Tutti noi avremmo potuto scrivere del dottor Pereira ma il primo a sceglierlo è stato Antonio Tabucchi, in un romanzo che parla della durezza di crescere.
Con un ritmo scandito dal cauto e affannoso passo del protagonista, Tabucchi dà voce all’insicurezza e all’inadeguatezza che accomuna ogni lettore.
È per questo che nella tiepida vita di Pereira incombe l’alba della giovinezza, un evento che gli permetterà di scagionarsi dalla rinuncia di scegliere. Infatti nel piacevole dondolio di una Lisbona estiva Pereira è attanagliato dalla voglia di pentimento, il ripetitivo rimorso per ciò che sarebbe potuto essere ma non è stato.
Nelle mani di Tabucchi l’ennesima storia di formazione diventa una romantica camminata per le strade di Lisbona e il lettore, passeggiando insieme al protagonista, non potrà evitare l’ammiccante ironia dell’autore.
Ma la vera ragione per cui il dottor Pereira guadagna il dono dell’immortalità è nascosta nel momento in cui il violaceo cielo nascosto sotto gli occhi di Pereira viene squarciato dagli irruenti Marta e Monteiro: Tabucchi ci mostra la vitrea sicurezza di un personaggio come Pereira, che rinnega ogni possibile novità, scontrarsi contro la marmorea posizione dei due giovani rivoluzionari. Un confronto che rivela le fragilità delle convinzioni più anziane e l’immenso peso della diversità. Ciò che rimarrà eterno in questo romanzo è quindi l’importanza di lasciarci modellare da ciò che non conosciamo: per scoprire nuovi aspetti di noi e per disseppellire quelli vecchi è spesso necessario fronteggiare l’ignoto. Ma come per noi anche per Pereira non sarà facile comprenderlo e così il racconto di Tabucchi troverà ormeggio in altri temi, come la liberazione dalle catene della viltà, di cui lo stesso Pereira è fabbro, e il coraggio di urlare le proprie opinioni.
Sono sicuro che la lettura di questo romanzo non possa essere persa da nessuno perché dispensa insegnamenti differenti per ogni età con una scorrevole e delicata narrazione.