Scrivere una recensione su La peste di Albert Camus, brillante scrittore, drammaturgo e attivista politico francese tra i più influenti del Novecento, non è facile.
Scrivere una recensione su La peste di Albert Camus, brillante scrittore, drammaturgo e attivista politico francese tra i più influenti del Novecento, dopo aver letto il romanzo nel 2021, durante la pandemia causata dal COVID 19, è un compito estremamente arduo a cui cercherò di adempiere.
194*, Algeria francese, Orano. Frenetica, grigia, conformista: è una comunissima città dove la primavera si annuncia esclusivamente dalle ceste di fiori al mercato e l’estate incendia le case troppo asciutte. Il suo aspetto è anonimo, così come la vita dei suoi abitanti, lavoratori desiderosi di arricchirsi di denaro e di abitudini, le quali consentono alle giornate di trascorrere senza intralcio. Due anziani che prendono il tè nero alle 17:23 nello stesso bar all’angolo da decenni, il bancario che ogni giovedì mattina, dopo la colazione con il suo caffè corretto, spedisce una lettera chilometrica alla famiglia lontana per poi crogiolarsi nell’ozio e nel gioco d’azzardo, le colleghe giornaliste che si incontrano sul posto di lavoro circa un quarto d’ora prima dell’inizio del turno per fumare insieme sigarette e raccontarsi, nella propria banale quotidianità. Abitudini discutibili forse, ma legittime.
Il problema sorge quando si è privati di queste ultime e la routine, organizzata con precisione aritmetica, viene smantellata con un battito di ciglia: semplicemente destabilizzante. Ed è ciò che capita ai cittadini di Orano a partire da un qualsiasi 16 aprile del 194*. Una data insignificante, se non avesse inesorabilmente stravolto le loro vite.
Quella mattina, un’improvvisa moria di ratti pervade la città. Escono da ogni tombino, da ogni anfratto per riversarsi nelle strade, dinanzi a occhi increduli o, allo stesso tempo, indifferenti. è l’inizio di un’epidemia tremenda, letale e spietata, che durerà circa un anno. Un anno di esilio, di paura, di sofferenza, tra quarantene e assenza di provvigioni perché esclusi dal mondo esterno. Il dolore della separazione dei protagonisti dai loro affetti; la rinuncia a qualsiasi esigenza personale in vista dell’emergenza sanitaria, dove è necessaria solidarietà ed empatia; l’impossibilità di catturare il profumo della persona amata per poterlo conservare gelosamente: sono solo alcune delle fortissime immagini che mi hanno travolto durante la lettura e posso sinceramente affermare che mi abbiano straziato il cuore. Ho sentito sulla mia pelle lo sconforto, la diffidenza, la rassegnazione, il panico, la stanchezza e ciò mi ha inevitabilmente commossa, facendomi spesso piovere lacrimoni sulle pagine bianchissime. E credo che per qualsiasi lettore che abbia vissuto il lancinante dolore, se così posso racchiudere quegli infiniti mesi di reclusione forzata tra le mura domestiche, causato dalla pandemia del COVID 19, questo romanzo sia stato distruttivo.
La narrazione incalzante e assolutamente oggettiva, la fedele descrizione dei sentimenti contrastanti, la scrittura ammaliante, lo stile ricercato ed elegante rendono la lettura estremamente coinvolgente e probabilmente, proprio per queste caratteristiche, più complessa. Oserei dire quasi faticosa. E con ciò non intendo dire che sia stata pesante, noiosa o scontata: La peste è un capolavoro indiscusso la cui incredibile e celata metafora spesso non viene colta. Esattamente, il flagello di cui parla Albert Camus non è uno qualsiasi, ma quello che ha toccato la maggior parte d’Europa nella prima metà del ventesimo secolo: il totalitarismo. Come rimanere impassibili dinanzi alla genialità di questo autore, che a distanza di decenni, si prospetta come dannatamente attuale, vivo, autentico?
Albert Camus, contemporaneamente tagliente e delicato, ritrae la fragilissima e mutevole natura umana, la quale si mostra senza freni inibitori su un palcoscenico affamato, isolato e incapace di fermare la pestilenza: la città di Orano.