Paura per l’ignoto, solitudine, pazienza e speranza in un domani migliore: questi sono i veri protagonisti del romanzo “La Peste” di Albert Camus. L’autore racconta di come negli anni ‘40 la tranquillità della comunissima città di Orano in Algeria venga sconvolta da un’epidemia di peste che coinvolge tutti i cittadini in prima persona.
Albert Camus è un attore e giornalista nato in Algeria nella prima metà nel ventesimo secolo che ha raggiunto un vasto riconoscimento pubblico grazie proprio al romanzo “La Peste” pubblicato nel 1947. Egli vinse nel 1957 il premio Nobel per la letteratura per aver saputo esprimere come scrittore i problemi, che oggi si impongono alla coscienza umana.
In pochi giorni la peste riduce Orano ad una sorta di città-fantasma e la costringe ad un periodo di impotenza e paura che sembra non finire mai. Questo tipo di flagelli è un fenomeno molto frequente ma comunque imprevedibile ed è per questa ragione che in dottor Rieux viene colto alla sprovvista, così come tutti i suoi concittadini.
“Dal momento che il flagello non è mai a misura dell’uomo, pensiamo che sia irreale, soltanto un brutto sogno che passerà. Invece non sempre il flagello passa e, di brutto sogno in brutto sogno, sono gli uomini a passare”: con questa citazione, che credo sia una delle più interessanti del libro, l’autore intende metterci in quell’ottica di smarrimento, rassegnazione e allo stesso tempo speranza che ha caratterizzato non solo la città di Orano ma tutta l’Italia durante la pandemia del Covid-19.
Ma cosa significa davvero vivere in balia di un morbo spietato che non lascia tregua? Camus si interrogò circa questa domanda molto tempo prima che a noi toccasse effettivamente vivere in questa situazione. È la separazione ciò che all’autore sta a cuore evidenziare e ciò che meglio caratterizza il periodo segnato da epidemie come la peste e il coronavirus. Ci si ritrova separati non solo dalle persone amate, dagli amici e dalla famiglia, ma anche dalle abitudini, dalla semplice quotidianità. Si tratta di un tipo di solitudine mai provata prima, che ci porta a riflettere su noi stessi e che con il tempo ci cambia profondamente. Ad un certo punto del romanzo diviene dunque chiaro che gli effetti della peste vanno ben oltre il terrore della malattia e della morte.
Con questo libro entriamo in contatto diretto con sensazioni, emozioni e tendenze tipiche dell’animo umano, come lo smarrimento, l’incertezza, l’incredulità, la paura ma anche l’ignoranza, l’ottimismo e perfino gli impulsi solidali e misericordiosi. È tuttavia difficile riuscire a trarre da tutto ciò un vero e proprio insegnamento; come afferma Alessandro Piperno nella prefazione dell’edizione del Salto “avviene più frequentemente il contrario: che alcune esperienze forti forniscano al lettore impressionabile una piattaforma emotiva abbastanza solida da agevolare l’immersione in un libro. È questo il caso. Leggere La Peste oggi da le vertigini.”. Dopo aver vissuto in prima persona in un periodo di pandemia mondiale risulta molto più semplice riuscire a comprendere le situazioni vissute e le emozioni provate dai cittadini di Orano, che non differiscono di molto da quelle sperimentate dai cittadini italiani nel primo anno di pandemia. A me personalmente è sembrato proprio di rivivere la paura, la solitudine e lo smarrimento, ma anche quei gioiosi sentimenti di ottimismo e speranza che non mi hanno mai lasciata e che mi hanno aiutata ad affrontare con più serenità quel buio periodo di quarantena.
Il lessico del romanzo è medio sia nei dialoghi che nelle parti narrate; inoltre l’autore riesce ad esprimersi in modo chiaro e diretto: infatti lo stile risulta essere molto semplice e scorrevole. Tuttavia, la lettura può risultare a tratti un po’ impegnativa: bisogna avere una certa maturità per riuscire a comprendere al meglio e ad apprezzare il contenuto di questo libro.