Ogni trauma possiede una propria radice, che si perde nella storia di una famiglia, di una comunità o di un paesaggio, possiede dimensioni soggettive, eppure si tratta di un evento totalmente inatteso, che rompe gli equilibri, e determinato da una fragilità. Questo è il tema affrontato dalla scrittrice Donatella di Pietrantonio durante il dialogo con il saggista Vittorio Lingiardi, tenutosi sabato 11 maggio in occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino.
L’autrice de L’età fragile ha raccontato il suo romanzo candidato al Premio Strega, che narra la storia di una famiglia sospesa nel tempo di un trauma, un racconto che parla di dolore e turbamenti, fornendo al contempo la cura. Si tratta di un’opera psicologicamente e fisicamente impegnativa da scrivere per l’autrice, che ha dovuto riaprire il capitolo di una fragilità familiare, sentendosi chiamata a dargli una voce. Attraverso il potere della parola non è possibile ricavare una cura, bensì giungere ad una liberazione, affinché il trauma possa abbandonare l’interiorità dell’individuo.
Un altro aspetto approfondito nel dialogo è stato il paesaggio, elemento che ha avuto un potente impatto nella biografia dell’autrice, il quale assume valore ambivalente: affascinante e allo stesso tempo pauroso. La scrittrice ritrova nella natura le montagne di quando era bambina, il timore che la assaliva durante l’attraversamento del bosco per raggiungere la scuola, dove intuiva si trovasse la salvezza, la dimora delle parole e dei simboli della lingua italiana, lontana dal suo dialetto rurale. Donatella di Pietrantonio fornisce così la metafora di un attraversamento che porta al luogo della musicalità del linguaggio astratto e delle emozioni, presso cui l’autrice ha saputo trovare le proprie parole, restituendo una storia di silenzi e solitudini, discriminazioni sociali e femminicidi.