Venerdì 20 maggio, la Sala Ambra del Salone del Libro ha ospitato lo scrittore argentino (naturalizzato spagnolo) Andrés Neuman, la traduttrice Silvia Sichel e la moderatrice Monica Bedana. Durante l’incontro Lo scrittore e il suo doppio è stato presentato il romanzo-memoir Una volta l’Argentina, uscito per la prima volta nel 2003, ampliato nel 2014 e definitivamente riscritto (in parte rivisto) nel 2021.
Cosa lo rende speciale? E perché l’autore ha voluto ampliarlo, scardinando quella che viene considerata la normale “vita” di un libro? Quest’ultimo contiene le memorie familiari, personali e del Paese in cui è ambientato, l’Argentina, attraverso un intero secolo. L’idea del progetto nasce da un ricordo molto vivido nella mente di Neuman: dopo un lutto spiacevole, lo scrittore si reca dalla propria nonna per farsi raccontare un “ricordo d’infanzia”. Ascoltando il flusso di pensieri della donna, si accorge di essere di fronte a “descrizioni estremamente fisiche”, che lui considera un vero e proprio miracolo letterario, poiché gli consentono di “avvicinarsi al corpo fantasma dei suoi antenati”. Da qui, si deduce lo scopo della sua dialettica: “Il lavoro della parola è creare una presenza e, quindi, negoziare un’assenza”. La storia de Una volta l’Argentina comincia da uno scambio epistolare intrattenuto con la nonna e, di conseguenza, dall’esigenza di completare l’ultima lettera da lei inviata.
Prima di buttarsi a capofitto nella stesura, Neuman unisce le testimonianze di alcuni parenti e dà origine a un puzzle della storia dell’Argentina nel ventesimo secolo. Come? Grazie alla stratificazione di diverse voci, alla consultazione di numerose fonti, alla volontà di “lasciare una traccia”, all’investigazione politica di un Paese, ma anche a interviste, archivi e film. Tramite questi strumenti di consultazione prettamente storica, l’autore ha voluto “creare un’intimità con i suoi predecessori, che non ha mai avuto la possibilità di conoscere”.
Neuman tratteggia un intreccio dal senso profondissimo. Lo stile adottato è denso, complesso, poetico ed estremamente musicale; non è un caso che il suo obiettivo sia suscitare nel Lettore sensazioni di estraneità per la lingua-madre, un “qualcosa di noto e misterioso allo stesso tempo”. Per identificare un unico fil rouge in tutti i capitoli, l’incontro si è concluso con un aneddoto personale, il “ricordo preferito” di Neuman: il nonno Mario, che prima di morire l’ha accompagnato a piantare un albero in giardino. È quest’albero (genealogico e multi-lingue) a essere intriso di milioni di significati: non solo le sue radici sono rifugio e riparo, ma il detto del poeta José Martí “Plantar un árbol, escribir un libro y tener un hijo” dà allo scrittore una “missione da seguire”. Di fatto, suo nonno resterà per sempre un albero intraducibile, ma memoria che – come un albero – può essere trapiantata di luogo in luogo. O di libro in libro.