Due palazzi che si fronteggiano, le prime esperienze amorose di un ragazzino che si affaccia al mondo e una bambina di cui è follemente innamorato: sono questi i tratti salienti del libro Vita mortale e immortale della bambina di Milano di Domenico Starnone, accolto calorosamente al Salone del Libro. E’ lo stesso autore partenopeo a rimarcare la versatilità del suo testo, che da un filo conduttore principale si articola in numerose tematiche tipiche della nostra esistenza. Il primo è sicuramente quello dell’amore che lega il giovane protagonista con una ragazzina che da tutto il quartiere è conosciuta come la “milanese”(da qui deriva il titolo) per la sua eleganza e la sua estraneità al dialetto napoletano. Nina (questo è il suo nome) ha il merito di introdurre nell’opera un secondo tema contrapposto a quello erotico, ossia quello della morte: emblema di ciò è una scena che la vede impegnata a ballare su un parapetto di pietra. Non a caso Starnone afferma che questa storia poggia sul mito di Orfeo ed Euridice, tratto dalla mitologia greca, perché esso simboleggia al meglio questa dicotomia tra l’amore e la morte. In virtù di ciò, il giovane protagonista iniziare ad acquisire consapevolezza, seppur in modo scherzoso, di che cosa sia la morte: e lo fa ad esempio quando si diverte a fingersi morto mentre gioca a fare il cowboy per poi rialzarsi immediatamente. Starnone ha poi introdotto nel corso della conferenza un terzo personaggio importante del suo libro, ossia la nonna del protagonista. Quest’ultima costituisce insieme a Nina una seconda netta dicotomia: essa è l’emblema della signora anziana che complice la scarsa istruzione ricevuta è fortemente legata alle tradizioni napoletane, compreso il dialetto stesso. Quello della lingua è stato un altro grande elemento di riflessione nel corso della conferenza: in particolare si è dibattuto su coloro che, della generazione di Starnone, si vergognano delle proprie radici dopo aver ricevuto un’istruzione elevata. E il protagonista del libro è oggetto di questo fenomeno: il suo rapporto con il dialetto napoletano si affievolisce man mano che egli procede nel suo percorso scolastico, fino ad arrivare ad una netta rottura alle superiori. La conferenza si è conclusa con la domanda se questo libro facesse piangere, domanda alla quale lo scrittore partenopeo ha risposto dicendo che non è tipico del suo modo di scrivere.