Cronache, Mi prendo il mondo 2025

La vita che resiste


Redazione Direzione Futura

Anna Rizzo - Parma

“La grande mancanza di chi racconta la guerra, il dolore degli altri, è non fermarsi abbastanza sulla vita che va avanti, la vita che resiste, che è il principio meraviglioso per cui le guerre finiscono” queste le parole di Francesca Mannocchi che hanno acceso le coscienze del pubblico presente al Paganini Congressi di Parma nella giornata di ieri 23 gennaio 2024.

La giornalista e documentarista Francesca Mannocchi è stata una delle prime ospiti di Mi Prendo il Mondo 2025, dopo aver abbracciato Caterina Vaglio della Direzione Futura che l’ha introdotta sul palco ha deciso di iniziare il suo racconto dalle immagini tratte da uno dei suoi ultimi lavori riguardo l’offensiva militare in atto in Palestina.

Sullo schermo alle sue spalle appare Sanad, un bambino dolcissimo il cui volto è attraversato da cicatrici e a cui resta un unico dito sulla mano destra. La nonna di Samad ci racconta cos’è successo: le bombe, le case che crollano, scavare nelle macerie nella speranza di poter ritrovare il nipote temendo di averlo perso per sempre. Nonostante l’orrore, la vita che resiste porta l’anziana signora a vestire Samad a festa per portarlo al parco per giocare con i suoi amici, anche loro portano addosso le ferite di qualcosa che non capiscono e che gli adulti non riescono a spiegare.

Sullo schermo appare lo sguardo duro di una madre che ha perso la figlia, la mostra sul telefono in una foto scattata poco prima che le bombe gliela portassero via per sempre, a chiudere il video una frase che ci fa riflettere con il cuore pesante “se fosse ancora viva sarebbe a scuola ora”.

“Come state?” ci chiede la giornalista subito dopo la fine del video, il pubblico è ammutolito. La prima volta che il servizio è andato in onda la gente commentava che si sentiva troppo male, doveva cambiare canale. Questa compassione, ci racconta Francesca Mannocchi, ci fa sentire di appartenere all’esercito dei buoni ma non aiuta nessuno perché ci deresponsabilizza. La giornalista si chiede: perché quelle immagini sono troppo? Perché riusciamo ad ascoltare le morti che si contano a decine di migliaia e invece diventa insostenibile vedere i sopravvissuti? Cosa ce ne facciamo del dolore degli altri? 

“Se questo (il servizio) è solo un’istantanea di dolore non serve a niente” diventa indispensabile invece se ci fa porre delle domande, se cerchiamo di capire le ragioni dietro a questi avvenimenti. “A volte non ci piacciono le risposte che diamo a queste domande ma se non facciamo queste domande queste persone non le capiremo mai” e invece è nostro dovere capirle, comprenderle non per giustificare ma perchè non si ripetano più le condizioni per far nascere queste atrocità. Per questo motivo dobbiamo ascoltare anche chi non riconosciamo come una vittima stereotipica, chi confonde i nostri ruoli narrativi e racconta l’abisso dei suoi peggiori sentimenti.

Crediti foto: Spazio5a

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