Dedica Pordenone 2025

Kader Abdolah incontra la scuola


Anna Di Pinto e Livia Padoani

Liceo scientifico M. Grigoletti - Pordenone

Venerdì 21 marzo, a seguito delle premiazioni del concorso “Parole e immagini per Kader Abdolah” gli studenti delle scuole del pordenonese e dintorni hanno avuto la grande opportunità di dialogare con l’autore. L’intervista, che riflette gli interrogativi più rilevanti sorti negli studenti a seguito delle letture travolgenti, ha messo in luce alcuni concetti chiave, che già altre volte l’autore aveva sottolineato: il viaggio dalla Persia all’Olanda, la sfida che ha affrontato nell’imparare una lingua complessa e nel farla propria nella scrittura, rendendola più potente per mezzo del bagaglio culturale che si è portato dietro nel suo viaggio, quindi l’importanza della letteratura come strumento per costruire ponti tra culture, e la sua voglia continua di tornare a casa.

 

Di seguito le domande più significative rivolte all’autore.

 

«Lei nei suoi libri ha parlato molto del concetto di emigrazione. Crede che la letteratura possa aiutare a costruire ponti tra culture?»
L’immaginazione è il più importante talento che è stato dato all’umanità. Con essa abbiamo realizzato le cose più belle e abbiamo dato vita alla religione e alla letteratura. E se con la narrazione abbiamo fatto conoscere grandi cose, anche la letteratura può aiutare a creare ponti.

 

«Ci sono libri o autori che hanno influenzato particolarmente la sua scrittura?»
Molti mi hanno aiutato a scrivere in modo potente, non solo scrittori, ma anche persone comuni. Sicuramente potrei menzionare: Sherazade de “Le mille e una notte”, “Il vecchio e il mare” di Hemingway o Dante e il suo capolavoro; ma una grande influenza nella mia vita, forse la più importante, è stata quella di mio padre. Era sordomuto, non poteva leggere, scrivere o parlare, ma, nonostante questo, mi ha insegnato una lingua dei segni molto semplice e potente, che alla fine è il mio stesso modo di scrivere.

 

«Scrivendo in una lingua diversa da quella persiana, si è mai sentito limitato nell’espressione o, al contrario, questa le ha aperto nuove prospettive?»
Quando sono arrivato in Europa ho adottato nella scrittura l’olandese che, per difficoltà, è una specie di cinese in Occidente. È una lingua piena di pioggia e di fango, e poi c’è il povero Kader Abdolah, che ha dovuto fare qualcosa di quella lingua. Ma da ciò che la vita ci offre, bisogna trarre qualcosa di bello, senza mai lamentarsi: prima di me nessuno straniero si era mai cimentato nello scrivere in olandese; io ci ho provato, e ora ho scritto circa trenta libri in quella lingua. Penso di aver reso l’olandese più bello di quanto non fosse prima.

 

«Lei ha scritto del momento in cui ha deciso di unirsi all’opposizione al regime. Sapendo com’è andata e quali difficoltà le ha causato questa scelta, la rifarebbe di nuovo?»
Ero un giovane in Iran, era in corso una rivoluzione, e di fronte ad essa non si può stare fermi a guardare, in quel momento non ho pensato al futuro o alle conseguenze delle mie azioni: sono diventato membro di un partito clandestino che si è opposto prima al regime dello Scià e poi a quello degli Ayatollah. Ho perso molto, mi hanno ucciso un fratello, due mie sorelle sono state arrestate, e molti dei miei compagni di lotta sono morti. Sono fuggito e, quando è morto mio padre, non ho potuto seppellirlo. Mia madre è viva, ma è molto anziana, e ha dimenticato tutto. Non sa prendersi cura di sé e continua ad aspettare il ritorno di suo figlio, senza sapere che questo non può tornare. Tutte queste persone mi hanno spinto a trarre qualcosa di positivo da questa sofferenza e da queste perdite: anche questa è una rivoluzione. Mi avete chiesto come avessi scelto di unirmi all’opposizione, ma la rivoluzione non si può scegliere, è lei a scegliere te.

 

«Quale metodo utilizza per affrontare un nuovo progetto narrativo?»
Molti autori lamentano il cosiddetto “blocco dello scrittore”. Hanno timore di non avere nulla da dire, ma io in questo mi ritengo fortunato: non volevo lasciare il mio Paese, ma averlo fatto mi ha reso uno scrittore prolifico. Ho, infatti, il privilegio di portare con me due diversi bagagli culturali: da una parte la tradizione persiana, e dall’altra l’immigrazione, l’esilio, l’olandese e voi.
In questo periodo sto scrivendo un nuovo romanzo, ma ho almeno altri cinque progetti in mente. A me la vita piace molto, e sono sicuro che anche la vita mi ama abbastanza da concedermi lo spazio, il tempo e la capacità necessari per realizzare questi progetti.

 

«Cosa l’ha spinta a scrivere “Il faraone d’Olanda” e da dove è nata l’ispirazione?»
“Il faraone d’Olanda” è uno dei libri che mi rappresenta di più all’interno della mia produzione. Il tema principale di questo romanzo è l’idea di tornare a casa: tutti in questo libro vorrebbero farlo, anche la mummia lo vorrebbe, e anch’io lo vorrei.

 

«C’è un libro di cui va più fiero all’interno della sua produzione?»
Non riesco a sceglierne uno, li amo tutti allo stesso modo, così come un padre ama tutti i suoi figli, per quanto diversi possano essere.

 

«Ritiene che le sue opere possano contribuire alla causa di un Islam moderato? Quale romanzo può essere utile in questo?»
Mi viene in mente “Il messaggero”: è un libro semplice, ma dà una panoramica molto ampia sull’Islam e sulla storia di Maometto, e ciò può essere utile a capire i propri amici musulmani. L’Europa sta cambiando: oggi sono molti gli immigrati musulmani, ed è importante conoscere meglio la loro cultura e la loro religione. In questo libro fornisco le informazioni necessarie a comprenderle.

 

«Il suo passato pesa ancora sul suo presente?»
Assolutamente sì. Basti pensare alla casa dove siamo nati, alla nostra madrelingua, alla nostra città natale. Le nostre tradizioni non ci lasceranno mai. Io me le sono portate dietro, come fossero uno zaino carico sulle spalle: è grazie al mio passato che sono diventato l’uomo che sono ora. Quando ho lasciato il mio Paese sapevo perché stavo fuggendo, ma non sapevo che cosa mi stesse aspettando. Ora lo so: sono scappato dal mio Paese per incontrare voi.

 

Anna Di Pinto e Livia Padoani, Liceo scientifico M.Grigoletti, Pordenone

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