Venerdì 16 maggio, Arena Bookstock
Cosa significa prendersi il mondo? Quanti mondi ci sono di cui non so niente? Ci sarà ancora un mondo da prendersi, domani?
È per dar voce a queste e altre domande, e per parlare di speranze e paure, che è nato il gruppo di Mi Prendo Il Mondo a Parma; dalle curiosità delle ragazze e dei ragazzi nascono occasioni di incontro come quella di oggi. Sul palco dell’Arena Bookstock ci sono Caterina, Anita, Sebastian, Francesco, Mattia e Federico, in attesa degli ospiti previsti per oggi: don Mattia Ferrari e Valerio Nicolosi.
In realtà Don Mattia, impegnato in aiuto e accoglienza dei migranti che attraversano il Mediterraneo, oggi ha seguito la sua vocazione e non il calendario ed è rimasto nel suo centro sociale a Roma per dare supporto in un momento di lutto, quindi in sua vece diamo il benvenuto a don Gianluca Montaldi, direttore della casa editrice che ha pubblicato “Salvato dai migranti” il libro di don Mattia, del quale condivide sensibilità e prospettiva.
Valerio Nicolosi è giornalista, filosofo, regista che si occupa di rotte migratorie; è anche intorno al suo ultimo libro edito da UTET, Attraversare i confini, che ruota la conversazione di oggi. Ciò che accomuna tutti gli ospiti, presenti e non, è la volontà di ascoltare e fare testimonianza delle storie degli altri. Come lo fanno? Mettendosi dentro le occasioni e le esperienze. Perché lo fanno? Per raccontare, spiega Valerio Nicolosi, quello che non funziona del mondo governato dal capitalismo, il grande problema della nostra società. Nel meccanismo di sfruttamento di persone e ambiente in cui ci troviamo, l’inco
ntro con persone in difficoltà è opportunità di salvezza. Proprio con l’idea di creare ponti e unire persone nasce la casa editrice di don Gianluca e la collaborazione con l’amico don Mattia nella riflessione che il suo libro porta avanti, una riflessione su quali sono le parole che oggi facciamo fatica a dire e sul valore dell’esperienza.
Particolarmente notevoli sono le esperienze di Valerio Nicolosi; tra le altre, ha percorso la rotta balcanica nonostante gli inevitabili rischi. Lo ha fatto con il senso di colpa che proviene dalla consapevolezza del privilegio nel quale viviamo, noi nati nel lato fortunato del mondo, con passaporti che permettono di attraversare i confini senza difficoltà. Si vince la paura mettendosi in marcia, e sapendo che in qualunque momento, a noi, è concesso di tornare indietro in poche ore. La difficoltà è stata, per Nicolosi, scindere il ruolo di cooperante da quello di giornalista, l’impellente e umana necessità di prestare aiuto e quella deontologica di conservare distacco e oggettività.
Un tema imponente ma centrale sollevato dalle riflessioni di ragazze e ragazzi è quello della religione, affrontato non solo come dimensione spirituale, ma come pratica concreta di gesti religiosi e solidali. A colpire è la richiesta di rendere visibile una fede che non si esaurisce nei rituali, ma che si traduce in azioni di prossimità e cura, soprattutto verso i più fragili. Emergono esperienze toccanti, come l’umiliazione inflitta a corpi fragili – come quelli che stavano tanto a cuore a papa Francesco – e realtà come la Linea d’Ombra a Trieste, che testimoniano l’urgenza di un impegno concreto. Da qui nasce anche la provocazione: cosa ci fanno i preti nei circoli sociali? Forse è tempo di cambiare la visione delle comunità cristiane, aprendole davvero all’altro, senza più stupirci, ma scegliendo piuttosto di seguire l’esempio. Il dibattito sulle idee di partecipazione sociale e giustizia mette in tensione due visioni apparentemente inconciliabili: quella fondata sulla legge e quella basata sui diritti um
ani. Non si pensi che l’attuale assetto sia immutabile: ciò che consideriamo naturale è il frutto di scelte precise, come quella di chiuderci nei nostri privilegi.
I diritti, per definizione, spettano a tutte e a tutti; i privilegi, invece, sono riservati a pochi. La chiusura delle frontiere e l’indifferenza verso chi resta escluso ne sono l’espressione più drammatica. Eppure, ognuno può agire per riconciliare legalità e giustizia attraverso strumenti democratici come il voto, e ripensando le politiche migratorie in modo che i migranti non siano oggetti, ma soggetti attivi delle decisioni. La società è composta anche da minoranze, e la vera sfida sta nell’includerle pienamente nel tessuto democratico. Esistono già esperienze che mettono in atto questo cambiamento e che, se connesse tra loro, possono contribuire a superare quei confini invisibili che ancora oggi dividono. Condividere pratiche, rafforzare la formazione politica e ridefinire la democrazia stessa sono passaggi cruciali per uscire dall’illusione di partecipazione in cui spesso ci rifugiamo. Serve un nuovo sguardo sulla convivenza civile e sullo Stato di diritto, decostruendo anche l’uso distorto del concetto di “sicurezza” per arrivare a una gestione dei flussi migratori che sia legale, umana e sicura per tutti. Questo richiede una narrazione alternativa: i confini non servono a separarci da nemici, ma a costruire paure, a creare l’altro. Nicolosi lo ribadisce con forza: il suo lavoro nasce da una scelta politica precisa, quella di svelare le strutture di potere che ci circond
ano, spesso invisibili ma determinanti. In questo contesto, si apre anche una riflessione più profonda sull’eredità emotiva collettiva: come si fa a scuotere le coscienze in un’epoca in cui siamo saturi di dolore e orrori? Anche qui, si tratta di fare scelte.
Affrontare la morte e la sofferenza è necessario, ma non può significare alzare continuamente la soglia dell’indifferenza: l’assuefazione diventa essa stessa una forma di complicità. Raccontare con delicatezza è necessario per recuperare l’umanità. Di fronte ai potenti del mondo che ci sbattono in faccia la disumanità, ci preoccupa di come far prevalere il senso di fraternità su quello di indifferenza. E si dà il caso che la risposta sia chiedere e chiedersi: cosa possiamo e cosa dobbiamo fare?