Nell’auditorium del Centro Congressi del Lingotto c’è una grande trepidazione fra coloro che, dopo una lunga fila sotto il sole di Torino, sono riusciti a conquistare un posto per ascoltare Alberto Angela, intervenuto il 21 Maggio al Salone del Libro. Il dialogo con i giornalisti Maurizio Molinari e Marco Frittella è l’occasione per presentare Genio. La grande storia delle scoperte che hanno cambiato la nostra vita, 16 volumi in collaborazione con <<La Repubblica>> che celebrano uomini e donne che, con il loro ingegno, hanno rivoluzionato la storia dell’uomo.
“La sete di conoscenza attraversa lo spazio e il tempo” esordisce Angela, tra gli applausi dei presenti, sottolineando poi l’interdipendenza tra divulgazione, comunicazione e pubblico, così sensibile alla rivoluzione dei media che interessano la generazione Z. Angela spiega come il linguaggio moderno basato sullo scambio di segni e immagini abbia radici ben più profonde nelle prime forme di espressione. Tuttavia è ancora la parola a essere il fulcro della comunicazione: nella metafora di Angela ogni libro rappresenta una civiltà, ogni frase un villaggio, ogni parola una famiglia. Ѐ quindi fondamentale continuare la ricerca sui libri per la riscoperta di come viveva chi ci ha preceduto: è proprio in queste occasioni come il Salone del Libro, quindi, che si tiene vivo il concetto di civiltà. Se la “memoria scritta” è uno degli elementi costitutivi della storia, non si può però trascurare l’importanza della curiosità e del continuo scambio dei frutti della ricerca scientifica che non può essere definita tale se non viene condivisa. L’idea di “unire il meglio”, pur essendo attualissima, non è nuova: già nella cultura ellenistica, sviluppatasi a partire dal IV secolo a.C, la collaborazione fra intellettuali di tutto il mondo era fondamentale nel polo culturale di Alessandria d’Egitto.
La condivisione della conoscenza, puntualizza Angela, diventerà sempre più importante con il peggiorare dell’emergenza climatica, “la crisi più grave che l’uomo deve affrontare dalla sua origine”. Come le truppe americane, ritiratesi l’estate scorsa da Kabul con la convinzione che i talebani fossero ancora lontani quando erano in realtà ai sobborghi della città, così anche noi commetteremmo un grave errore ritenendo che le conseguenze del cambiamento climatico siano di là da venire. Lo squilibrio tra l’uomo e la natura si affermò nella Preistoria come rapporto di dominio del soggetto sull’oggetto, in altre parole l’homo sapiens asservì la natura alla sua cultura, secondo un modello che è tipico della società dei consumi attuale. E’ quindi ipocrita in questi casi iper-responsabilizzare il singolo sulle sue scelte quotidiane, di fronte a politiche imprenditoriali di sfruttamento delle risorse naturali in piena ottica di convenienza. Una soluzione collettiva al problema implica una dimensione democratica, che è figlia della cultura.