I tuoi libri, Jonathan, mi hanno colpito. Nella tua storia, nelle tue difficoltà familiari ed esistenziali, ho sentito l’eco delle mie…anche se il finale è stato diverso. Tu sembri aver vinto sul tuo destino, sei diventato un famoso scrittore. Io sono un ergastolano.
Mi sento però di affermare che sono una brava persona e, dopo aver letto di te, ho deciso di riflettere su di me.
Molte volte mi viene alla mente una frase che la mia ex suocera mi scrisse in una delle prime lettere che mi inviò in carcere, e diceva queste parole “ricordati che Dio non può mai dare a una persona delle sofferenze più grandi di quelle che è in grado di sopportare”. Bella frase, vero? Credo che questa frase riassuma il più semplicisticamente possibile la mia vita e chi sono. Dico questo perché meditando sul mio passato, mi sembra di aver sofferto tanto e sempre, e di aver superato tutto alla meglio e ancora non devo finire.
Voglio precisare pure che io adesso sto scrivendo queste riflessioni autobiografiche solo perché si è presentata l’occasione di scrivere per il progetto “Adotta uno scrittore”, altrimenti penso che non lo avrei mai fatto. Mi trovo in carcere, condannato alla pena dell’ergastolo. Sono parente stretto, cugino, di uno dei capi di un’associazione camorristica, e sono certo che se non mi fosse capitata questa circostanza, io in questo momento non starei né in carcere, né starei soffrendo ancora così immensamente. Nel partecipare ai processi ho avuto a che fare con i veri responsabili di quegli omicidi che sono stati contestati pure a me, ed è stato uno schifo per me notare tanta disinvoltura davanti alla morte, e non posso nascondere che ho provato tantissima tristezza per le vittime, per le quali posso solo fare una preghiera, non essendo in alcun modo responsabile della loro fine, e anzi non nascondo di aver chiesto alle vittime, nelle mie preghiere, di aiutarmi ad ottenere giustizia per loro e per me, il che purtroppo non è avvenuto. Aggiungo che su 5 processi per omicidio sono stato assolto su 4, e questo la dice lunga sulla mia presunta colpevolezza. La mia disgrazia più grande sta nel fatto che io non posso collaborare, perché non sono a conoscenza di certi fatti. La maggior parte delle persone pensa che le indagini per i reati di mafia o camorra che sia, vengano fatti come in TV, come gli omicidi che vediamo ogni giorno sui programmi a ciò dedicati, tipo l’omicidio di Yara Gambiraso, dove si è prelevato il DNA a migliaia di persone. Invece no, i processi che mi hanno coinvolto sono solo basati su dichiarazioni di assassini, dove basta che si presentino due soggetti che anche solo genericamente, senza entrare nello specifico, ti accusano di un fatto per essere condannati. Comunque anche se sono stato assolto su quattro omicidi, il risultato non sarebbe stato in nessun caso diverso se fossi stato condannato pure là, perché tra il prendere 5 ergastoli o uno solo non c’è molta differenza, sempre l’intera vita ne risulta pregiudicata irrimediabilmente.
Venendo alla circostanza di essere parente di questi capi del clan, questo mi ha causato tanti problemi, innanzi tutto mi ha portato a non poter vivere una vita “normale”. Tutta la mia esistenza è stata caratterizzata dallo scontro della mia famiglia con l’altra famiglia contrapposta, e da tutto ciò che questo dato di fatto ha comportato. Sono vissuto in un clima di continua guerra, e parlo di guerra militare, fatta di morti ammazzati e ho vissuto anche il famoso e triste periodo per la mia città del coprifuoco, perché si era arrivati al punto che morivano due/tre persone alla settimana, sul finire degli anni novanta. Io allora ero un adolescente, facilmente influenzabile da quelli che non erano dei maestri di vita ma di morte, che allora io forse reputavo degli eroi, ma che poi mi sono reso conto essere solo dei miserabili. Ho vissuto col vedere morire tanta gente, sembrava di stare a Kabul. È difficile per me far capire quel periodo e ciò che ho vissuto, comunque sono cresciuto in un ambiente terribile, e mi sono ritrovato a farne le spese carcerariamente, a mio modo di vedere solo perché parente di questi…
Io ho sempre odiato certe dinamiche terribili che comportano queste parentele, come il fatto che a volte mi è capitato pure di dover andare via da qualche festa o altro luogo perché lì presenti altri personaggi della contrapposta famiglia, i quali non facevano altro che perseguitarmi, solo perché “parente di …”! E lo stesso trattamento veniva riservato a tutte le persone a me vicine, sia amici o altro, e quanti dei miei amici sono stati malmenati solo perché erano miei semplici amici. Se io volevo fare il camorrista, quelle persone le avrei affrontate in quei momenti, per la rabbia che mi causavano e non avrei fatto in modo da evitare qualsiasi scontro, “scappandomene” via da tutte queste situazioni pericolose. Io ero completamente estraneo a tutto questo, tant’è che pure queste persone che mi perseguitavano ad un certo punto se ne sono rese conto e mi hanno lasciato in pace ad un certo punto. Ci tengo ad affermare che non nutro particolari rancori nei confronti di queste persone, perché anche loro sono il frutto di un certo modo di pensare e di vita sbagliato. Penso solo che se non fossi nato nel mio paese, o se non avessi fatto parte di questa famiglia, io a quest’ora non starei in carcere.