É un racconto breve ma potente, quello di Antonio Muñoz Molina, Sangue Rubato nella traduzione italiana, El miedo de los niños nella versione originale e sicuramente più indicativa del tema centrale della novella. Edito da Lindau, tratta in modo estremamente attuale un concetto astratto e atemporale come la paura. Esteban e Bernardo, cugini, trascorrono assieme le giornate, giocando per strada in un mondo fantastico creato dalla loro immaginazione. Ma sarà quella stessa immaginazione che li fa sognare a creare nella loro mente l’immagine di qualcosa di ben più spaventoso, la paura. Una paura concreta, quella dei tisici, che possono infettare chiunque e in qualunque momento. Molina ricorda la propria infanzia, ambientata nella Spagna degli anni ’60, reduce dalla dittatura. Una forma di governo che già di per sé si basa sul terrore e che quindi rendeva molto facile ai fantasmi entrare nella mente e nell’anima delle creature più impressionabili di tutte, i bambini. Lo scrittore sottolinea che spesso e volentieri questi ultimi vengono in contatto molto presto con la paura, ma non per loro volontà, bensì sotto l’influenza degli adulti. Tra le prime righe del racconto leggiamo di quando Esteban, scendendo in cantina, si spaventi avvertendo un serpente strisciare sul suo braccio e di come i genitori lo deridano, aggiungendo poi che, se quel serpentello è del tutto innocuo, le vipere invece non lo sono, instillando così un nuovo terrore nell’animo del bambino. La conversazione si sposta poi su dissertazioni di carattere linguistico (perché tendiamo ad usare così tanti termini inglesi?) e sulla ragione della scelta di scrivere un racconto anziché un romanzo. Molina spiega che il racconto, o novella, è perfetto per ricreare il fantastico in letteratura, perché comprime in modo straordinario la complessità del mondo. La mente umana, inoltre, trasforma la storia a proprio piacimento: i racconti sono pericolosi proprio perché la nostra mente è sensibile. Noi non cerchiamo storie vere, dice Molina, cerchiamo storie che riescano a convincerci di essere vere.