Immagina di essere una donna ferrarese sulla cinquantina, di avere un figlio diciottenne che ieri sera è andato ad una festa con gli amici, ma adesso sono le 11 del mattino e ancora non è tornato a casa. Decidi quindi di denunciare la sua scomparsa chiamando la polizia. Immagina di scoprire che tuo figlio non c’è più. “Un attacco cardio-polmonare”, ti dicono. Vai a vedere il corpo e ti accorgi che è ricoperto da ben 54 lesioni e lividi. Ti dicono che tuo figlio è stato trovato alle 5 del mattino sotto effetto di alcol e droghe, in uno stato confusionale e violento. La polizia era intervenuta ed era presente al momento del malore. In te iniziano a sorgere alcuni dubbi. Tu e la tua famiglia non credete che sia stato solo questo ad ucciderlo: la storia non regge, come fa il corpo a presentare così tante lesioni? Decidi quindi di lottare per la giustizia e per la verità, perché la vita di tuo figlio vale questo e molto di più.
Questa è la storia di Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, per gli amici Aldro, ucciso a 18 anni la notte del 25 settembre 2005 da quattro agenti di polizia in servizio. Inizialmente il giovane verrà descritto dalla stampa come “un drogato” e i poliziotti sottolineeranno più volte il fatto che pensavano fosse “un albanese sotto effetti di droghe pesanti”. Questo, però, non giustifica la crudeltà con cui è stato ucciso: aveva il cranio spaccato dalle manganellate (ben due manganelli si ruppero durante lo scontro), il torace rotto a causa della pressione esercitata dal peso dei poliziotti, per non parlare delle ferite e delle lesioni presenti su tutto il corpo. I quattro agenti il 6 luglio 2009 sono stati condannati a 3 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo con “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi e della violenza”.
Sono passati vent’anni dalla morte di Aldro eppure in Italia non sono ancora stati presi provvedimenti seri nei confronti del potere delle forze dell’ordine. Risulta quindi importante parlare di questa e di tutte le altre storie simili come quella di Stefano Cucchi, ucciso a Roma il 22 ottobre 2009 da due carabinieri, o come quella di Stefano Magherini, morto a Firenze nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2014 per mano di tre carabinieri.
Al Festival di Internazionale a Ferrara 2025 durante un incontro tenutosi il 4 ottobre, Valentina Calderone, garante delle persone detenute di Roma, Michele Delai, scrittore e autore del libro Aldro, storia di un orrore perbene (Compagnia Editoriale Aliberti, 2025) e Michele Di Giorgio, ricercatore all’Università di Bari hanno dialogato sull’argomento insieme al giornalista Luigi Mastronado.
“Scrivere e raccontare la storia di Aldro mi ha lasciato un dolore che di storie ne racconta tante altre. C’è un filo che le collega tutte: sono storie di eccessi” ha detto Delai. E forse il potere della storia di Aldrovandi sta proprio nella facilità di immedesimazione. La Calderone ha infatti specificato: “Ci ha fatto capire che poteva capitare a nostro fratello, a nostro figlio o ad un nostro amico”.
Di Giorgio ha poi aggiunto: “Dobbiamo fare tesoro delle storie come quella di Aldrovandi di cui siamo a conoscenza: pensiamo a quante persone sono state vittime di violenza da parte delle forze dell’ordine prima degli anni 50 e noi non lo sappiamo”. Secondo il ricercatore la nostra consapevolezza è una fortuna perché solo partendo da qui è possibile un cambiamento. “Spetta a chi fa da ponte tra le istituzioni e i sindacati aprire un dialogo necessario per far capire l’importanza della formazione degli agenti”.